Secondo l'avvocato il personale delle Rsa che non dovesse sottoporsi al vaccino dovrebbe essere ricollocato dal datore di lavoro a svolgere mansioni "che siano prudentemente distanziate dagli ospiti e tali da non generare contatti rischio di contaminazione"
Il personale delle Rsa che non dovesse sottoporsi al vaccino contro il Covid dovrebbe essere ricollocato dal datore di lavoro a svolgere mansioni "che siano prudentemente distanziate dagli ospiti e tali da non generare contatti rischio di contaminazione". E' quanto ha affermato l'avvocato Maria Grazia Cavallo, legale di riferimento di alcune Rsa piemontesi per le questioni Covid. Se il trasferimento non fosse possibile "i lavoratori sarebbero da considerare inidonei alle mansioni di assistenza agli anziani". (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - MAPPE E GRAFICI DEI CONTAGI)
Le parole del legale
Secondo l'avvocato Cavallo "la soluzione potrebbe arrivare in tempi brevi soltanto attraverso una norma di legge che, per la sua delicatezza e per il suo 'impatto' sociale, non potrebbe che essere voluta dal Parlamento, finora troppo spesso emarginato dallo strumento del Dpcm". In base al Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, ha sottolineato il legale, anche sul responsabile di una Rsa ricade l'obbligo di "proteggere costantemente i propri collaboratori con riferimento a rischi per la propria salute" perché è una figura che "ha posizione di protezione e garanzia nei confronti dei collaboratori e degli ospiti della struttura, soggetti peraltro particolarmente fragili". "La violazione di tali doveri - ha continuato Cavallo - potrebbe comportare conseguenze assai gravi, quale la diffusione dei contagi contagi, e significative responsabilità penali". Esiste però anche una norma costituzionale secondo cui "nessuno può essere obbligato a trattamenti sanitari contro la propria volontà, se non per obbligo di legge e sempre nel rispetto della persona". Ecco perché, secondo il legale, "la soluzione potrebbe arrivare in tempi brevi soltanto attraverso una norma di legge".
Confapi: "Su obbligo e consenso intervenga il governo"
Un altro problema connesso al vaccino è la condizione di non autosufficienza di molti ospiti delle Rsa. Il 70% di loro non sarebbe in grado di sottoscrivere consapevolmente il modulo del consenso informato per la vaccinazione anti Covid, sostiene Michele Colaci, vicepresidente vicario di Confapi Sanità, secondo cui senza una norma nazionale, direttamente emanata dal Governo, che snellisca le procedure del consenso informato, ci vorranno dai sei mesi ad un anno per poter somministrare il vaccino ai soggetti fragili residenti nelle Rsa italiane. "Senza un intervento urgente del governo, sarà impossibile vaccinare in tempi accettabili i nostri anziani non autosufficienti, con il conseguente aumento dei rischi di contagi". "A tutto ciò si aggiunge - prosegue Colaci -, la mancanza di direttive chiare che obblighino tutto il personale sanitario e gli operatori socio-sanitari all'immunizzazione. In certe situazioni la 'forte raccomandazione' non crediamo sia sufficiente, soprattutto a tutela delle persone più fragili. Rendere obbligatorio il vaccino per il personale sanitario e socio-sanitario o proporlo, solo su base volontaristica, è una scelta politica, che deve essere assunta dal governo e che la Costituzione autorizza. Ci auguriamo che la politica faccia la propria parte, anche con scomode decisioni, a tutela effettiva della salute pubblica. Ci appelliamo anche al senso di responsabilità di tutto il personale sanitario e socio-sanitario, affinché l'obiettivo comune sia la sconfitta del virus e la tutela dei soggetti più deboli".
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