Torino, il migrante aggredito: "Mi sono ferito da solo"

Piemonte

L'uomo ha smentito l'ipotesi iniziale degli investigatori, secondo cui l’aggressione sarebbe stata collegata all’operazione di polizia ed Europol che ha portato a smantellare un’associazione criminale dedita al traffico di esseri umani dall'Asia all'Europa

Si sarebbe ferito da solo sfondando, ubriaco, una vetrata a casa di un amico: è quanto ha raccontato alla polizia il 30enne pachistano ricoverato all'ospedale San Giovanni Bosco di Torino con il braccio lacerato. L'uomo, interrogato, ha smentito la ricostruzione di alcuni testimoni e l'ipotesi degli investigatori, secondo cui il 30enne sarebbe stato vittima di un'aggressione a colpi di machete. Questa sarebbe legata all'operazione di polizia ed Europol che nelle scorse ore ha smantellato un'associazione criminale di pachistani dedita al traffico di migranti dall'Asia all'Europa.

L'ipotesi investigativa

Stando a quanto riportato in precedenza il pachistano sarebbe stato aggredito a colpi di machete ieri sera in via Cecchi, nei pressi di uno dei piccoli appartamenti dove gli extracomunitari venivano stipati prima di essere portati in Francia e in Spagna. Secondo l'ipotesi degli investigatori l’uomo, coinvolto nel traffico di migranti, sarebbe stato aggredito da alcuni membri dell'organizzazione criminale perché pretendeva di essere portato all'estero nonostante gli esiti dell'operazione. Secondo quanto raccontato agli agenti invece il 30enne, ubriaco a casa di un amico, avrebbe perso il controllo e si sarebbe ferito distruggendo una vetrata dell'appartamento. 

Il traffico di migranti 

La squadra mobile di Torino e la polizia di frontiera francese, con l'ausilio di Europol, hanno smantellato nelle scorse ore un'associazione criminale dedita al traffico di esseri umani: nel corso dell'operazione sono stati otto fermi di indiziato di delitto e due mandati di arresto sono stati eseguiti in Italia, un arresto in Francia. In due anni, l'organizzazione è riuscita a muovere oltre mille immigrati per un giro di affari che supera il milione di euro. Gli indagati promettevano un futuro in Europa a pakistani, indiani e bengalesi disposti a tutto, li stipavano in 'safe houses', piccoli appartamenti tra Torino e Bergamo, poi li accompagnavano in Francia e in Spagna a bordo di furgoni e auto di fortuna. 

Le indagini

Le indagini hanno preso avvio nel marzo scorso, dopo che un giovane pakistano era stato accoltellato a Torino da alcuni connazionali. Il ferito abitava con altre sette persone in via Cecchi e aveva pagato 500 euro alla banda per raggiungere Parigi. Quelli dell'organizzazione però volevano impossessarsi di tutto il denaro posseduto dal ragazzo, e quando lui si era rifiutato di consegnarlo loro avevano cercato di ucciderlo.

Il modus operandi

Gli immigrati arrivavano in Italia con la precisa istruzione di contattare 'Ali', leader dell'organizzazione. "Tramite Whatsapp, per evitare intercettazioni", si legge nel decreto di fermo. Venivano stipati a decine in piccoli alloggi di Torino, in via Carmagnola, in via Cecchi e in via Portula, e di Bergamo. Poi, dopo aver pagato centinaia di euro, venivano caricati anche a gruppi di trenta su Renault Megane, Boxer Peugeot, Ford Transit. Una decina i viaggi documentati dalle forze dell'ordine. Lo scorso 30 aprile a Bruere, nel Torinese, su un furgone erano stati trovati 27 indiani e pakistani diretti alla frontiera francese. Tra loro c'erano pure dei minori, stipati in un bagagliaio in cui era difficile respirare. L'associazione si serviva di decine di autisti, arrestati in tutta Europa, in particolare in Francia. La scorsa estate a Torino si sono verificate violente aggressioni ai danni di pachistani: l'organizzazione non voleva problemi e, tramite minacce, anche di morte, e spedizioni punitive, imponeva ai 'clienti' di non rivelare informazioni e di cancellare ogni eventuale traccia che dai cellulari potesse condurre la polizia ai membri del gruppo. I controlli degli investigatori della squadra mobile si sono intensificati e l'organizzazione aveva deciso di abbandonare la città e di trasferirsi a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria, e a Seriate, in provincia di Bergamo. "A Torino è diventato impossibile lavorare - dicevano gli indagati intercettati al telefono - Ci sono troppi controlli. Dobbiamo andarcene".  

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