L'accusa era di omicidio colposo in relazione al decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo, dove la multinazionale dell'amianto aveva una filiale. La sentenza è del giudice Cristiano Trevisan
Il Tribunale di Torino ha condannato a quattro anni di reclusione l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny in uno dei diversi filoni del processo Eternit bis. L'accusa era di omicidio colposo in relazione al decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo, in provincia di Torino, dove la multinazionale dell'amianto aveva una filiale. Schmidheiny dovrà versare una provvisionale di 15mila euro alle parti civili, tra cui la Regione Piemonte, sindacati e varie associazioni. Il processo è stato celebrato a Torino dopo lo "spezzettamento" del fascicolo disposto all'udienza preliminare per ragioni di competenza territoriale. A Napoli è in corso un dibattimento in Corte d'Assise, dove l'imprenditore elvetico è accusato di omicidio volontario. A Vercelli si procede per il medesimo reato: l'indagine è appena terminata.
Le dichiarazioni
"Un primo tassello", le parole del pm, Gianfranco Colace, che in aula ha sostenuto la pubblica accusa, dopo la lettura del dispositivo. Colace ha fatto riferimento a quelli che erano gli ultimi orientamenti della giurisprudenza in materia di responsabilità nei casi di morti da amianto. "Ora spero che questa sentenza segni il ritorno a una giurisprudenza più attenta alle vittime". Così, invece, il commento dell'avvocato Astolfo di Amato, uno dei difensori di Schmidheiny: "Questa è una decisione che va contro ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia di morti da amianto. Leggeremo le motivazioni e faremo appello".
"Condanna minima ma nuovo inizio"
Soddisfazione per la decisione del giudice da parte del dirigente sindacale della Cgil e cofondatore dell'Associazione familiari e vittime dell'amianto (Afeva), Nicola Pondrano: "È un segnale debole, ma va nella direzione auspicata. È la prima sentenza che indica la responsabilità di Schmidheiny su due casi", le sue parole. Nel 2015 al termine del primo processo la Cassazione aveva annullato la condanna a 18 anni del manager svizzero accusato di disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche.
Per Bruno Pesce, altro fondatore dell'Afeva, "è una condanna mite, ma importante perché lo Stato afferma che non si uccide la gente per soldi".
Secondo la presidente dell'Afeva, Giuliana Busto, "dopo la botta della Cassazione, anche una condanna minima è un inizio che dà speranza".
La nota dei collaboratori dell'imprenditore svizzero
Stephan Schmidheiny è "il capro espiatorio dell'inerzia dello Stato italiano", che "per decenni" non regolamentò il trattamento e l'uso dell'amianto. Lo afferma una nota dei collaboratori dell'imprenditore svizzero condannato oggi a Torino nel processo Eternit bis. Il comunicato ribadisce che nella multinazionale si impiegavano standard di sicurezza "nettamente superiori rispetto a quelle in vigore in Italia e nelle aziende concorrenti". "In Italia - osserva ancora l'entourage di Schmidheiny - circa un migliaio di aziende impiegavano amianto nel loro ciclo di produzione. Molte di esse erano statali. Nonostante ciò per decenni l'Italia non si è mai curata di regolamentare il trattamento e l'utilizzo di questo materiale". "I ritardi dello Stato italiano nella regolamentazione della lavorazione dell'amianto - ricordano i collaboratori dell'imprenditore - sono elencati in dettaglio nella sentenza emessa il 19 novembre 2014 dalla Corte di Cassazione nel primo processo Eternit. L'Italia iniziò a regolamentare la lavorazione dell'amianto molto tempo dopo la chiusura dello stabilimento di Cavagnolo nel 1982 e il fallimento della Eternit nel 1986". Nella nota si osserva che la Comunità europea emanò nel 1983 una direttiva sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione all'amianto. Gli Stati avrebbero dovuto recepirla nel 1987. Ma soltanto nel 1991 (dopo una censura della Corte di giustizia europea) l'Italia adottò una legge in merito, cui nel marzo 1992 è seguito il divieto generale di utilizzo dell'amianto". "Applicando agli stabilimenti italiani gli standard di sicurezza riconosciuti a livello internazionale - è la conclusione - il Seg (Gruppo svizzero amianto, l'azienda di famiglia di Schmidheiny che di Eternit era azionista di maggioranza - ndr) impiegò norme nettamente più severe rispetto a quelle allora in vigore in Italia e nelle aziende concorrenti".