Dal revenge porn al cyberbullismo fino ai casi di omonimia. Negli ultimi anni sono nate diverse start up che si occupano di reputazione online. Tra gli esempi italiani c’è la bolognese Tutela digitale
C’è una vecchia battuta che circola tra gli esperti in Rete: “Il posto migliore dove nascondere un cadavere è la seconda pagina di Google. Quasi nessuno va a guardare lì”. Con questo stesso principio, negli anni, sono nate diverse aziende che si occupano di reputazione online. Un tema sempre più centrale che riguarda tutti: dalle singole persone coinvolte in casi di cronaca alle grandi aziende.
L’esempio di Tutela digitale
Tra le società italiane del settore, c’è la bolognese “Tutela Digitale” che si muove su un doppio binario: avvocati da una parte, informatici dall’altra. La sua arma principale è una app che si chiama “Linkiller”: permette, pagando, di rimuovere contenuti non autorizzati, notizie vecchie, dati riservati. Tramite eliminazione o con la cosiddetta “deindicizzazione”, cioè la richiesta a Google di nascondere questi contenuti. Una richiesta quest’ultima, che in realtà tutti possono fare in autonomia, ma che non è sempre semplice (guarda il video in alto).
Dai casi di omonimia al revenge porn
“La nostra app è come uno sportello online che permette alle persone di trovare un modo semplice e utile per risolvere le problematiche sul web”, spiega a Sky Tg24 Gabriele Gallassi, fondatore insieme a Sveva Antonini della società. Tra i casi che si trovano ad affrontare i più difficili sono probabilmente quelli legati al revenge porn. Ma c’è anche chi vuole esercitare il diritto all’oblio e chi, nelle ricerche, è penalizzato da casi di omonimia. Fino a casi particolari: “Abbiamo avuto - spiega Antonini - un bambino di dieci anni che ci ha chiamato in ufficio chiedendo la rimozione di fotografie che postava la madre sui social. In particolar modo un video che aveva messo su YouTube. Veniva preso in giro da tutta la classe per questo” (NOW , la rubrica di innovazione e tecnologia).