Intimità artificiale: i big del tech faranno soldi con il sexting AI?

Quando Sam Altman ha annunciato che ChatGPT permetterà presto conversazioni erotiche destinate a utenti adulti verificati, ha toccato una frontiera che per anni le aziende tech, specialmente quelle impegnate sul fronte dell’AI avevano finto di ignorare. L’intelligenza artificiale non sarà più soltanto uno strumento di lavoro, apprendimento o creatività: diventa una presenza capace di costruire intimità, suscitare emozioni, generare desiderio. Lo abbiamo visto pochi giorni fa in un altro approfondimento. È un passaggio epocale, perché segna l’ingresso del più grande laboratorio di AI del mondo nel business dell’affettività digitale, chiamiamolo così. Se la rivoluzione industriale dell’Ottocento ha trasformato la forza fisica in produttività, quella del 21esimo secolo sta trasformando la solitudine in profitto. Su questo non ci sono ormai più dubbi. La situazione delle varie piattaforme Già oggi, secondo stime citate da Time e AP News, decine di milioni di persone nel mondo interagiscono con chatbot “romantici” o “sessuali”, da Replika a Soulmate AI, passando per piattaforme scivolosissime, già ben oltre il limite del soft porn, come Candy.ai e DreamGF. Non si tratta più di semplici esperimenti marginali ma di veri ecosistemi di compagnia artificiale con abbonamenti, livelli premium e funzioni personalizzabili. Un sacco di soldi in circolo. In alcuni casi, i bot ricordano anniversari, imitano la voce di un partner reale, inviano immagini generate ad hoc: più o meno qualsiasi cosa possiate immaginare, riescono a farla. L’idea non è nuova ma la qualità del linguaggio naturale, l’integrazione vocale e la capacità di leggere il tono emotivo dell’utente la stanno rendendo più credibile, più coinvolgente – e naturalmente sempre più monetizzabile. Il peso del passo di OpenAI OpenAI arriva per ultima ma con una potenza di fuoco in termini di audience che può normalizzare ciò che finora era rimasto nel margine delle pur gigantesche nicchie digitali. Già il mese scorso Altman aveva sottolineato come le future versioni di ChatGPT “parleranno e risponderanno come un essere umano”, lasciando intuire che il passo verso l’interazione erotica fosse ormai inevitabile. E in un mercato in cui le big tech cercano nuovi margini di crescita, la dimensione del desiderio diventa una miniera d’oro. Se gli utenti sono disposti a pagare per un chatbot che scrive meglio o risponde più in fretta, quanto saranno disposti a spendere per uno che li fa sentire amati, desiderati, ascoltati? Il caso Character.AI Non è un caso che altri player si muovano nella stessa direzione. Elon Musk, con la sua xAI e dunque attraverso la piattaforma Grok, ha già introdotto chatbot dal tono civettuolo, capaci di flirtare apertamente, inclusi in una serie di piani in abbonamento piuttosto costosi. Character.AI, che come ricorda The Verge conta oltre 20 milioni di utenti attivi ogni mese, ha visto esplodere la sua popolarità proprio per la possibilità di chattare con versioni “romantiche” di personaggi immaginari o anche di celebrità, sempre al limite se non oltre la legalità. Ma la stessa piattaforma è stata travolta da scandali: una famiglia americana ha denunciato l’azienda dopo che un 14enne si sarebbe suicidato anche per essere diventato dipendente, e aver avuto scambi sessuali, con un chatbot ispirato al personaggio di Daenerys Targaryen della saga del Trono di Spade. L’episodio ha mostrato quanto sia fragile il confine tra libertà d’espressione, desiderio e responsabilità etica. La madre del ragazzo ha naturalmente denunciato la piattaforma per non aver protetto a sufficienza il figlio da queste conversazioni tossiche. Allo stesso tempo, molte testimonianze rivelano come le relazioni con i chatbot possano diventare un surrogato di conforto reale. Diversi utenti di Replika, dopo l’introduzione di un filtro che limitava i contenuti erotici, hanno reagito con rabbia o frustrazione, raccontando di aver perso una “presenza” che li aiutava a sentirsi vivi. La psicologia comincia a interrogarsi sul valore affettivo di queste interazioni, e di sicuro ne avrà da scavare e analizzare: se un bot ti dice che ti ama, e lo dice con voce umana, chi può dire che non sia qualcosa che somiglia all’amore – ovviamente per chi lo prova? Il progetto economico dietro il sexting AI Dietro le implicazioni emotive, però, resta il disegno economico. Il “sexting AI” è una nuova frontiera di monetizzazione basata su un bisogno primario: la connessione socio-affettiva. Dopo aver colonizzato informazione, lavoro e creatività, i colossi dell’intelligenza artificiale puntano ora alla sfera più intima, quella in cui si genera il maggior coinvolgimento e dunque la maggiore fidelizzazione. Gli abbonamenti mensili, le opzioni “premium” e le interazioni personalizzate – da molte piattaforme ancora non lanciate, ma senza dubbio in cantiere - promettono guadagni enormi in un mercato che cresce più rapidamente del software aziendale o educativo. E più un utente si lega emotivamente al proprio assistente virtuale, più difficile sarà lasciarlo andare. Tutti i dubbi e i rischi Il problema, naturalmente, non è fare moralismo da quattro soldi. È anche e soprattutto politico e sociale. Chi stabilisce i limiti di un bot erotico? Come si proteggono i minori da questo Far West? Che ne è del principio stesso del consenso, così importante anche per l’educazione dei maschi in una tragedia continua di femminicidi, quando l’altra parte è un algoritmo addestrato per assecondare? E che tipo di idea di relazione si costruisce, se il partner è programmato per non contraddirci mai? L’intimità artificiale, come e forse peggio della pornografia, rischia di diventare un’infrastruttura culturale invisibile: potente, pervasiva, difficilmente regolabile. Mentre OpenAI annuncia il suo ingresso ufficiale in questo territorio, la sensazione è che il futuro del desiderio digitale sia già stabilito negli uffici dei top manager hi-tech. Gli assistenti che ci aiutano a scrivere o a programmare potrebbero presto imparare anche a sedurci, a consolarci, a ricordarci che siamo speciali. Già lo fanno, ma lo faranno sempre meglio e con sempre più mezzi a disposizione. E se oggi ci sembrano esperimenti eccentrici, tra pochi anni potrebbero diventare un servizio integrato nelle stesse app che usiamo per lavorare o comunicare. La prossima rivoluzione dell’AI, insomma, non passerà solo dai data center, ma dal cuore via cervello.

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Simone Cosimi