X, Grok e l’IA politicamente scorretta: il laboratorio Musk e perché non possiamo fidarci

Quello che sta accadendo intorno a X, Grok e xAI non è solo una storia di tecnologia. È il perfetto laboratorio – sempre più scintillante e in qualche modo pornografico - di come l’intelligenza artificiale sia oggi uno strumento politico, culturale e ideologico allo stesso tempo. E di quanto sia pericoloso ostinarsi a pensare che questi modelli siano neutrali, assimilandoli a precedenti invenzioni che hanno modificato il corso della storia hi-tech. Non sono proprio la stessa cosa. La notizia delle ultime ore, a dirla tutta per nulla sorprendente, è che Elon Musk – mentre costruisce il suo nuovo partito politico - non solo vuole spingere Grok a essere più politicamente scorretta ma sta anche cercando investitori disposti a scommettere bei soldi su questa traiettoria. L’idea è evidente: fare di Grok una voce “senza filtri”, diversa dalle IA giudicate troppo moderate o - non se ne può più di questa etichetta - “woke”. È un messaggio che attira chi si sente soffocato dal politicamente corretto e che finisce per tuffarsi in un contenitore di retoriche tossiche e contenuti avvelenati. Gli algoritmi non sono neutri - e i casi ce lo dimostrano Non è la prima volta che un modello linguistico, anche basilare come quelli che abbiamo conosciuto negli scorsi anni, finisce per riflettere i bias dei suoi creatori o dei dati su cui è addestrato. Negli ultimi anni ci sono stati casi clamorosi. Tay di Microsoft, l’allora bot su Twitter di Redmond, cominciò a sfornare nel 2016 messaggi razzisti e misogini nel giro di poche ore, perché apprese linguaggio e contenuti dagli utenti più estremi. Oppure, già nel 2021, la clamorosa inchiesta Facebook Papers che oggi tutti sembrano aver dimenticato rivelò come gli algoritmi dei social di Menlo Park favorissero proprio i contenuti divisivi, perché più engagement significava più tempo sulla piattaforma e, dunque, più introiti pubblicitari. E perfino OpenAI è stata più volte criticata per il rischio di risposte di ChatGPT percepite come “troppo liberal” o “troppo moderate”, a seconda delle versioni e dei paesi. In tutti questi casi, ma soprattutto negli LLM attuale, non esiste una “verità algoritmica”. Le intelligenze artificiali non sono autonome né dotate di coscienza: esiste piuttosto un ventaglio di scelte su cosa includere, su quali contenuti bloccare, su quali priorità valoriali istruire il modello. Musk e Grok: la retorica della "verità" e i rischi concreti Il progetto di Musk ha almeno tre implicazioni preoccupanti, già di fatto all’opera sul quasi omonimo social X, che dallo scorso marzo è formalmente controllato dalla holding xAI. Anzitutto la polarizzazione estrema: se Grok viene istruita per essere “più schietta” e “politicamente scorretta”, c’è il rischio che normalizzi ulteriormente linguaggi di odio, battute razziste o misogine, teorie complottiste, tutte spacciate per “opinioni fuori dal coro”. Poi la strategia commerciale: secondo il New York Times, Musk starebbe puntando su Grok anche per trovare nuovi introiti in un momento difficile per X, dopo il crollo pubblicitario e le turbolenze finanziarie. È la conferma che le scelte di design dell’IA non sono minimamente etiche ma squisitamente commerciali. La solita faccenda della confusione tra libertà di parola e amplificazione tossica: il capo di Tesla dichiara di volere un’IA “franca” che non si censuri. Ma c’è una differenza enorme tra libertà di espressione e potenza algoritmica. Una persona può dire cose tossiche ma un modello che risponde miliardi di volte al giorno ha un impatto sistemico e amplifica narrazioni distorte. L'illusione dell'allineamento etico Oggi molte aziende parlano di “AI alignment”: l’idea di allineare i modelli a valori condivisi e universali. Ma la verità è che non esistono valori universali in un contesto come questo. Ogni tentativo di regolazione si scontra infatti con differenze culturali, politiche e ideologiche. L’Unione Europea ha varato l’AI Act, imponendo trasparenza sui sistemi IA ad alto rischio. Ma per i modelli generativi , la linea è sottile: cosa è “rischioso”? Un chatbot politicamente scorretto rientra nella regolazione o è solo “libera espressione”? Negli Stati uniti si discute di responsabilità legale delle piattaforme. Ma nell’ultimo One Big Beautiful Bill Act appena approvato dal Congresso statunitense di regolamentazioni per l’intelligenza artificiale ne prevede ben poche. E se a livello globale Cina e Russia spingono per sistemi ovviamente ultra-censurati nei paesi occidentali invece si teme l’effetto opposto: piattaforme che, per inseguire libertà assoluta, scivolano verso caos e disinformazione. Ma sempre con un disegno ben chiaro. Cosa possiamo imparare da questi movimenti? Anzitutto a non fidarsi mai ciecamente delle IA. Anche quando sembrano neutrali o equilibrate, questi strumenti rispondono infatti sempre a priorità economiche o politiche, sono plasmati dai pregiudizi culturali dei team che li costruiscono, possono essere modificati da un giorno all’altro, senza preavviso agli utenti, come la storia di Musk dimostra. E soprattutto amplificano contenuti, rendendo marginali le voci moderate e premiando le più estreme. Il caso Grok prova che, nella guerra culturale in corso, l’IA non è più un semplice strumento: è essa stessa il campo di battaglia. E chi la controlla – e spesso neanche del tutto, come i vari screzi dei mesi scorsi fra il multimiliardario e la piattaforma dimostrano - non vende solo risposte. Vende in qualche maniera visioni del mondo che ci arrivano sotto forma di repliche alle nostre domande, prompt dopo prompt. Se un giorno Grok apparirà “più sincera” o “più libera” rispetto ai suoi concorrenti non significa che dica la verità. Significa solo che qualcun altro ha deciso quale verità valesse la pena raccontare.

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