Il paradosso Ue: digitale senza giovani, sicurezza senza sovranità

Sempre più vecchia, con sempre meno giovani in età formativa, con un peso del PIL in diminuzione rispetto a quello globale – passato dal 25,6% nel 1989 al 17,4% attuale – e sempre più dipendente da tecnologie concepite, sviluppate e prodotte al di fuori dai nostri confini: questo è lo stato dell’Unione Europea che emerge dalla Relazione Annuale sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza 2025 presentata qualche giorno fa alle Camere dalla Presidenza del Consiglio, prefigurando un futuro tutt’altro che roseo per il nostro continente. La spirale demografica discendente è infatti l’innesco di una serie di potenziali conseguenze, capaci di compromettere la sovranità digitale dell’Unione. Il salto tecnologico che nella nostra era sta vivendo l’umanità è paragonabile alle grandi rivoluzioni del passato, quali quella agricola o industriale, ma con un’accelerazione di gran lunga maggiore. Ognuna delle precedenti trasformazioni era accompagnata da notevoli mutamenti sociali sostenuti da una demografia se non in crescita, almeno stabile: basti pensare al massiccio movimento di inurbamento che portava le genti dal contado a stabilirsi nei nuovi centri industriali. L’Europa si trova invece a vivere la rivoluzione digitale a corto delle risorse umane necessarie nel medio periodo: una popolazione che invecchia, infatti, lascia sempre meno giovani disponibili per i percorsi di sviluppo delle competenze necessarie, con un probabile se non certo calo di laureati in discipline STEM proprio mentre le imprese e i centri di ricerca sono a caccia di figure qualificate in grado di far fronte alle sfide dell’automazione, della microelettronica di ultima generazione e della IA. Senza competenze interne sufficienti, e senza meccanismi di attrazione dei talenti esteri – tra l’altro non sempre affidabile in termini di sicurezza - il rischio è di imboccare la via del tramonto, in cui l’innovazione rallenta e la competitività arretra. La rivoluzione digitale, a differenza di quelle del passato, ha un’elevata necessità non solo di competenze, ma anche di investimenti: si tratta di un’evoluzione profonda che passa attraverso intelligenza artificiale, computer quantistici, infrastrutture cibernetiche avanzate e, non ultimo, lo spazio come nuovo ambito di competizione e cooperazione. I dati sull’investimento globale in IA mostrano un deciso primato degli Stati Uniti, con il 70% delle risorse private impegnate in questo settore, mentre l’Europa – sommando UE e Regno Unito – si ferma all’11%. Uno squilibrio che non è semplicemente numerico, ma che riflette la velocità con cui alcuni Paesi hanno consolidato un sistema di ricerca e sviluppo capace di tradurre la scienza di base in soluzioni concrete. Il rallentamento del PIL europeo è ormai endemico, indica una difficoltà del continente nel creare dei campioni industriali e tecnologici che invece per diverse ragioni sono nati in Cina, USA e India. Senza giocatori in grado di competere a livello globale, l’Europa è diventata un consumatore, un mercato e come tale è costretta a importare tecnologie altrui, accettando di non influire direttamente sugli standard di sicurezza e sulla loro regolamentazione. Emblematico è il caso delle piattaforme cloud e dei sistemi di telecomunicazione 5G: dipendere dalle specifiche tecniche di provider esteri implica un tema di sicurezza cibernetica; controllo ridotto su possibili vulnerabilità, dipendenza tecnologica e maggior esposizione a potenziali influenze straniere. L’adozione di reti 5G e la diffusione massiccia di servizi in cloud, IA e quantum proiettano l’Europa in una realtà dove ogni settore, dalla difesa all’industria fino all’agricoltura di precisione, dipende da infrastrutture digitali che possono essere prese di mira da attori ostili. La crescente instabilità geopolitica, caratterizzata dal moltiplicarsi dei conflitti e dall’uso sempre più aggressivo di tecniche ibride, amplifica ulteriormente il rischio di incursioni cyber, rendendo ancora più urgenti gli interventi di rafforzamento e protezione dei sistemi informatici. Al contempo, la dimensione spaziale – con le costellazioni di satelliti per la navigazione, la comunicazione e l’osservazione terrestre – si integra con il dominio cyber, generando nuove opportunità ma anche nuovi fronti di vulnerabilità. Per garantire la sovranità tecnologica europea è necessario quindi procedere alla costruzione di un ecosistema, un terreno fertile e fecondo, in tutte le sue accezioni di significato, in cui l’innovazione possa crescere con solide radici: bisogna formare e acquisire competenze, sostenere la ricerca in discipline deep tech, costruire infrastrutture digitali sicure e proteggerle da incursioni cibernetiche. Il paradosso è che in un mondo apparentemente sempre più “artificiale”, il vero nodo critico è la mancanza di risorse umane formate e adeguatamente supportate. Per questo l’Europa chiamata a fare scelte coordinate, a pensarsi come soggetto unitario per non perdere ulteriore terreno. Ed è proprio nell’armonizzazione di queste leve demografia, istruzione, innovazione tecnologica e sicurezza, che si gioca la partita più delicata: mantenere un posto di primo piano nell’era digitale e garantire la protezione delle proprie infrastrutture strategiche e dei propri interessi vitali. E l’Italia?

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