Algoritmo e “cow vigilantes”: cosa sta succedendo in India

Uno degli aspetti meno discussi degli effetti collaterali dei social media riguarda il loro ruolo nelle violenze settarie che avvengono in società lontane – anzitutto geograficamente – dalla nostra, dove like e algoritmi diventano i migliori alleati per campagne di disinformazione e odio che colpiscono i più deboli. Un buon punto di partenza per indagare questa zona d’ombra della nostra contemporaneità è The Chaos Machine , brillante saggio dell’ex reporter del New York Times Max Fisher, che documenta come nel 2017-2018 in Myanmar e Sri Lanka piattaforme come Facebook, YouTube e altre abbiano avuto un ruolo attivo e consapevole nella diffusione virale di contenuti che hanno portato a pulizie etniche ai danni delle minoranze di questi Paesi. L’ultimo caso in questo senso – anch’esso largamente taciuto dai media occidentali – riguarda l’India, e ha per protagonista frange estremiste del nazionalismo indù, e Instagram come complice. Col nome autodichiarato di cow vigilantes, o “giustizieri della mucca”, folle di facinorosi e gruppi di paramilitari induisti hanno iniziato a sferrare attacchi violenti ai danni delle minoranze musulmane che vivono nel Paese, filmandoli e postandoli sulla piattaforma di proprietà di Meta. Un rapporto del Center for the Study of Organized Hate, una no-profit specializzata nei crimini d’odio con sede a Washington, ha identificato più di mille account impegnati a diffondere la propaganda dei facinorosi, che fanno orbitare la loro attività attorno alla vacca, animale sacro all’induismo che nel decennio presidenziale del nazionalista Narendra Modi è diventato oggetto di un numero sempre maggiore di leggi a sua tutela, che accusano i musulmani – a partire da quelli impiegati nel settore dell’allevamento – di macellare o allevare contro le regole in vigore. In alcuni video riportati da Wired, si vedono “giustizieri della mucca” che inseguono sulle autostrade e costringono ad accostare camion accusati di trasportare bovini, mentre altri raffigurano addirittura pestaggi di gruppo, rapimenti o minacce. Si tratta di contenuti con migliaia di like, che secondo il magazine statunitense sono stati ripetutamente segnalati per venire rimossi da Instagram, ma la piattaforma ha deciso di non prendere provvedimenti. Anzi: i 121 reel di Instagram presi in analisi dal rapporto del Center for the Study of Organized Hate che mostravano violenze ai danni delle minoranze musulmane, nel complesso, avevano ottenuto un numero superiore agli 8,3 milioni di visualizzazioni, ma la maggior parte di essi non recava il messaggio d’avviso con cui Meta avvisa gli utenti della presenza di contenuti espliciti. Anche in questo caso, come in quelli nel sud-est asiatico citati da Fisher, la piattaforma non poteva non sapere cosa stesse diventando virale grazie ai suoi algoritmi : vedendo che quel tipo di contenuto ingaggiava il pubblico e raggranellava milioni di visualizzazioni, Meta ha scelto di lasciar correre. Col risultato che i cow vigilantes hanno potuto non solo agire indisturbati, ma vantarsi sui social delle loro violenze xenofobe e razziste.

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