Le sfide della digitalizzazione italiana, a partire dalla cybersicurezza

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Con i fondi del Pnrr si punta a costruire un Paese sempre più digitalizzato. La strada è tracciata ma il percorso non è dei più semplici: “Tutta l’Europa sta cercando di colmare un gap che ci portiamo dietro storicamente”, spiega a Sky TG24 Eugenio Santagata, Chief Public Affairs & Security Officer di TIM. Tra le insidie più grandi c’è la sicurezza informatica: “Un problema che deve essere affrontato promuovendo sensibilizzazione e investimenti verso le tecnologie innovative

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Digitalizzare il Paese: infrastrutture, uffici pubblici, servizi. A questo punta uno dei capitoli principali del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

 

La strada è tracciata ma il percorso non è dei più semplici: “Non è facile da nessuna parte, non solo in Italia. Tutta l’Europa sta cercando di colmare un gap che ci portiamo dietro storicamente”, spiega a Sky TG24 Eugenio Santagata, Chief Public Affairs & Security Officer di TIM.


La sua visione per il futuro dell’Italia è però ottimistica, a partire dall’esperienza della sua stessa azienda: “TIM ha un ruolo centrale nel processo di digitalizzazione del Paese. Nel primo trimestre del 2023 abbiamo installato un milione di nuove linee in fibra, raggiungendo risultati molto positivi, in linea con il nostro cronoprogramma e con quanto stabilito dal Pnrr”.

Mai così tanti eventi cyber come nel 2022

Ma la digitalizzazione può nascondere anche dei rischi, a partire dalla cybersicurezza Secondo il rapporto Clusit 2023, nel 2022 si è registrata la maggior percentuale di crescita annua di attacchi informatici. In Italia si segnala un +169% tra il 2022 e il 2021, nel resto del mondo un +21%. La percentuale di eventi che ha riguardato il nostro Paese – al 20% rivolti al settore governativo e al 19% per il manifatturiero - ha rappresentato il 7,6% del totale mondiale. Nel 2021 era il 3,4%.
Cosa ci dicono questi dati? “Significa che negli anni l’attenzione verso l’Italia è cresciuta perché evidentemente è un Paese ambito, non solo per passare le vacanze”, riflette Santagata. L’aumento dell’intensità di attenzione da parte di chi sferra questi attacchi, sottolinea, si è avuto a partire dal 2017 in poi. “A scuola si studiano le ere e le epoche, si parla di storia contemporanea e di storia moderna. Ecco, nel mondo del digitale e in quello della cybersecurity, il 2010 è preistoria, il 2030 è un futuro sul quale poco si può dire in termini di previsioni”.

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Santagata: “Proteggere le piccole e medie imprese”

C’è anche un altro motivo per cui si registra questo interesse verso l’Italia. “Le statistiche sono così alte perché storicamente, contestualmente alla digitalizzazione, siamo stati per molti anni dei consumatori di tecnologie provenienti dall’estero”, dice Santagata. Adesso, questo trend si sta riducendo, anche se “ancora con eccessiva lentezza”. Quello che è sempre più importante, continua Santagata, “è mettere in protezione la “pancia” del Paese, costituito dalle piccole e medie imprese. Per farlo bisogna adottare diverse strategie, a vari livelli, per far evolvere un sistema di resilienza complessiva del nostro Paese”.

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“Un problema che non avrà mai fine”

Ma il problema quindi è risolvibile? “Non avrà mai fine”, dice Santagata. E lo spiega attraverso i numeri: “Oggi abbiamo circa 46 miliardi di dispositivi connessi al mondo. Secondo alcune stime, nel 2030, ne avremo 125 miliardi. Non c’è una fine, il tema cybersecurity non può essere considerato come qualcosa che inizia e finisce. Occorre però mettersi al passo con le nuove strategie di difesa, questo sì”. È una battaglia che va al di là dei confini nazionali: la Commissione europea ha messo a punto il Cyber Solidarity Act, che destina 1,1 miliardi di euro per “individuare, prepararsi e rispondere meglio a incidenti significativi su larga scala”.

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“Più investimenti e sensibilizzazione presso le aziende”

Guardando solamente all’Italia, dove il mercato cyber vale 1,9 miliardi di euro, Santagata sottolinea la buona risposta delle istituzioni al tema delle insidie cyber: “Abbiamo dei player, come l’Agenzia nazionale per la cybersecurity, che prima non c’erano, e questo a livello di policymaker rappresenta un passo avanti importantissimo”. Sul piano della strategia complessiva, il Chief Public Affairs & Security Officer di TIM individua due punti su cui è necessario intervenire con più incisività: da un lato servono “maggiori investimenti per tecnologie proprietarie, quelle cioè che si ha la capacità di governare”, dall’altro è fondamentale promuovere  “programmi di sensibilizzazione verso aziende e pubbliche amministrazioni”, perché “la maggior parte degli attacchi cyber potrebber essere evitata applicando semplici norme di comportamento, trasferibili con costi relativamente contenuti”.

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