Lo ha stabilito una sentenza della terza sezione penale, che ha respinto il ricorso della difesa di un 32enne, indagato per aver mandato una serie di messaggi “allusivi e sessualmente espliciti” a una ragazza minorenne sull’app di messaggistica istantanea
In una sentenza depositata oggi, martedì 8 agosto, la Cassazione ha stabilito che è legittimo contestare il reato di violenza sessuale a chi invia foto hard su WhatsApp a un minorenne. Con questa decisione, la terza sezione penale ha respinto il ricorso della difesa di un 32enne, indagato per aver mandato una serie di messaggi “allusivi e sessualmente espliciti” a una ragazza minorenne sull’app di messaggistica istantanea. L’uomo avrebbe anche inviato una foto hard, accompagnata dalla richiesta di ricevere dalla giovane uno scatto analogo, “sotto la minaccia di pubblicare la chat” su un altro social e pagine hot.
La posizione della difesa
In seguito alla decisione del tribunale del Riesame di Milano di confermare la custodia in carcere disposta dal gip per l’indagato, la difesa si era rivolta alla Suprema Corte sostenendo che, nel caso in esame, non fosse contestabile il reato di violenza sessuale, ma, al limite, quello di adescamento di minore. Il difensore sosteneva che “in assenza di incontri con la persona offesa” sarebbe difettato “l’atto sessuale” e che andasse escluso anche il “child grooming”, ossia “la pratica di adescamento di un soggetto minorenne in Internet, tramite tecniche psicologiche volte a superarne le resistenze e ottenerne la fiducia per abusarne sessualmente”. Per la difesa, la condotta tenuta dall’indagato non aveva intaccato la sfera sessuale della minore per l’assenza di una qualsivoglia richiesta di un rapporto di questo tipo.
La sentenza della Cassazione
Nonostante il ricorso della Difesa, la Cassazione ha ritenuto “solida e ben motivata” la decisione del Tribunale del Riesame, secondo cui “la violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale”. In particolare, i “gravi indizi di colpevolezza” del reato contestato erano stati ravvisati “nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali e i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico la chat”, ha spiegato la Corte Suprema di Cassazione. Inoltre, i giudici hanno ritenuto corretta la decisione di disporre la custodia in carcere per l’indagato sulla base del fatto che ha “perpetrato le stesse condotte nei confronti di altre minori, dimostrando di non saper controllare le proprie pulsioni”, potendo “continuare a minacciare le vittime nonché reiterare le condotte delittuose a mezzo l’uso di strumenti informatici”.