Calenda contro i videogiochi, la risposta degli sviluppatori italiani: ci serve aiuto per il settore

Tecnologia

Cristian Paolini

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Caso chiuso per l'Aesvi, "ma al settore serve sviluppo". L'intervista al direttore generale dell'associazione Thalita Malagò

E’ stata la polemica dello scorso weekend sui social network, quella innescata sui videogiochi (“causa di incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento”) dall’ex ministro per lo Sviluppo Carlo Calenda che il direttore generale dell’Aesvi Thalita Malagò archivia definitivamente come qualcosa che spera sia stato solo “un episodio” lungo il cammino che porta al pieno riconoscimento del valore culturale dell'intrattenimento elettronico.

 

Come ha preso l'Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani l’uscita di Calenda?

 

Purtroppo siamo abituati a confrontarci con questo tipo di realtà. L’argomento è di quelli che spesso divide, e non solo i politici, ma anche la gente comune. In questo senso l’esternazione di Calenda non è stata diversa rispetto a quella di tanti altri. Ho già avuto modo di ricordare che l’abbiamo incontrato quando era ministro e ci aveva esplicitato le sue perplessità sui videogiochi, ma ci ha anche aiutato a partecipare in qualità di game developer italiani a due manifestazioni importanti come il GDC negli Usa e al Gamescom di Colonia, tappe significative nel processo di internazionalizzazione del nostro movimento. Ma c’è ancora distanza rispetto alla considerazione dei politici di altri Paesi europei. In Germania la Merkel, per esempio, l'anno scorso inaugurò proprio il Gamescom, più recentemente il premier danese ha presenziato ad un evento legato agli eSports mentre, sempre per protrare un altro caso significativo, la Romania ha stanziato 94 milioni per lo sviluppo dell’industria del divertimento elettronico. Oltretutto il mercato del videogioco è differente rispetto a quelli di altri settori dell’industria culturale italiana tipo il cinema, poiché è pensato da subito come prodotto destinato alla distribuzione internazionale. Ci auguriamo che diventi una delle nuove frontiere di espansione del made in Italy nel mondo. 

 

     

L’intervento dell’ex ministro può considerarsi un passo indietro nella strada che ha delineato?

 

Sinceramente spero che si tratti di un episodio di quelli che lasciano un po’ il tempo che trovano. In fondo dei risultati concreti anche con le istituzioni li abbiamo portati a casa. Spesso però, come dicevo, quella di Calenda è un’opinione condivisa. Il punto è proprio quello della necessità di arrivare a un riconoscimento culturale dei videogiochi in Italia, ma non è una strada facile né breve se anche chi dovrebbe avere un’attitudine allo sviluppo anche tecnologico si lascia andare a considerazioni del genere. 

 

Quali sono invece i passi necessari perché i videogiochi acquisiscano la dignità di un film, un disco o un libro?

 

A mio avviso si tratta di un cammino in tre passi: il riconoscimento culturale, l’utilizzo nelle scuole e il sostegno alle imprese. Per quanto riguarda il primo aspetto, il problema secondo me non è il mezzo - un film, un libro, un disco o un videogioco - ma il contenuto del prodotto e l’utilizzo che ne viene fatto. In seconda istanza la scuola è l’ambiente ideale per sviluppare una cultura digitale. Esistono studi in Europa su come i videogames possano essere strumenti ideali alla finalità dell’apprendimento, anche perché si tratta di qualcosa con cui gli studenti hanno grande familiarità visto l’utilizzo che ne fanno nel tempo libero. Il terzo passo è quello, altrettanto fondamentale, del sostegno economico alle aziende. Esistono già accademie che creano professionalità indirizzate all’industria dell’intrattenimento elettronico, che può costituire uno dei più interessanti sbocchi in futuro per i giovani verso il mondo del lavoro. In Italia però le aziende impegnate nel settore sono piccole per cui hanno bisogno di aiuti. Inoltre serve una politica che spinga le grandi realtà internazionali a investire nel nostro Paese. Di talenti ne abbiamo, servono risorse. E certi preconcetti non sono certo di supporto a questo processo di sviluppo.     

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