Cos'è lo shadow banning e perchè Trump accusa Twitter
TecnologiaLetteralmente significa "bando ombra" e si tratta di quel meccanismo che, all'insaputa degli utenti, penalizza alcuni account social. Secondo il presidente Usa sarebbe avvenuto ai danni dei profili di alcuni candidati repubblicani
Complice un tweet di Donald Trump, l’espressione "shadow banning" diventa in queste settimane sempre più presente nel dibattito su social media e motori di ricerca. Il presidente americano ne ha fatto uso per accusare le grandi piattaforme di penalizzare i sostenitori del partito repubblicano. Ma di cosa si tratta? E cosa c'è di vero?
La definizione
"Shadow banning" vuol dire, letteralmente "bando ombra". Si tratta di quel meccanismo (non dichiarato) che, all'insaputa degli utenti, penalizza alcuni account social. Li rende quindi, deliberatamente, meno visibili. Il bando non è palese, perché le eventuali penalizzazioni non dipendono dalla violazione delle norme delle piattaforme e non sarebbero - dunque - guisitificabili.
Il caso di Twitter
Di "shadow banning" si parla da tempo, ma l'argomento è tornato centrale lo scorso luglio grazie a un'inchiesta di Vice News. Secondo la testata, Twitter avrebbe usato lo shadow banning per penalizzare alcuni esponenti repubblicani. Tra le pratiche, quella di segnalare gli account in caso di ricerca completa, ma di non visualizzarli nel più immediato menu a tendina. Apparentemente, aveva scritto Vice, lo stesso non avveniva con esponenti democratici. Twitter ha parlato di "problema tecnico" ed è intervenuto dopo poche ore per risolverlo. Il Ceo della piattaforma, Jack Dorsey, ha sempre rifiutato l'idea che tutto fosse originato da un "bando ombra" volontario. La società ha scritto che il problema ha riguardato "centinaia di migliaia di account" e che "non è stato limitato ai profili dei politici".
Le accuse di Trump
Le giustificazioni non sono servite ad evitare l'attacco del presidente Donald Trump, che il 26 luglio aveva già cinguettato: "Twitter ha bannato importanti repubblicani. Non sta bene. Indagheremo su questa pratica illegale e discriminatoria". A settembre Trump è tornato a muovere le stesse accuse, coinvolgendo anche Google e Facebook. E diversi parlamentari repubblicani hanno continuato a chiedere conto dello "shadow banning" durante l'ultima audizione di Dorsey davanti al Congresso. Il Ceo di Twitter ha confermato la versione di un inconveniente tecnico, ammettendo però che il suo impatto "non è stato imparziale".
La versione di Instagram
Le accuse hanno colpito Twitter con grande forza, anche perché suffragate da alcune evidenze. In altri casi, non ci si ferma alle illazioni. E' successo, ad esempio, a Instagram. All'inizio di giugno, il social per la prima volta, ha rivelato alcuni dei criteri utilizzati per dare gerarchia ai post. Instagram ha affermato che "lo shadow banning non è reale" e che gli account non vengono oscurati se non quando infrangono le norme della piattaforma. Non viene quindi penalizzato l'eccessivo uso di hashtag, né la frequenza eccessiva dei post. Non ci sono favoritismi neppure per gli utenti che usano le Storie, a scapito di chi non lo fa. Né esiste una maggiore visibilità a seconda che si scelgano foto o video".