Sei storie per raccontare l'universo di Jovanotti. Un docu-film intenso, fatto di sentimenti, umanità, speranza e sogno. L'appuntamento è in anteprima ed esclusiva su Sky Uno e Sky Arte venerdì 4 dicembre alle ore 22
Sei storie, un unico viaggio. Una epopea così sarebbe piaciuta tanto ad Alvaro Mutis, aedo colombiano mancato poco più di due anni fa. La ha scritta, per immagini, Lorenzo Jovanotti. La ha intitolata Gli Immortali, come una canzone del suo ultimo album Lorenzo 2015cc. La regia è di Michele Trugli amico di Jova, che da oltre vent'anni cura i suoi video. Vedremo questo docu-film, che dura 90 minuti, come una partita di calcio, su Sky Uno e su Sky Arte venerdì 4 dicembre alle ore 22. Aspettando la messa in onda, abbiamo incontrato Lorenzo, e il suo gruppo di lavoro, per entrare nell'anima degli immortali.
Lorenzo cosa racconta Gli Immortali?
Sono sei storie e io le tengo unite. Ero partito col desiderio di raccontare una bella storia, poi si è unita Sky che ha dato un senso più forte all'idea, Sky ha occhio per la qualità e tanta cura.
Lei che ruolo ha?
Sono una delle sei storie del film e sono quello che rende possibili le altre.
Lo ha seguito con la maniacalità che caratterizza ogni suo progetto?
Io ero in tour ma ho seguito i montaggi giornalieri, poche volte ho detto no a qualcosa. Questo forse è il lavoro più intenso fatto con Michele Trugli, ci conosciamo dal 1989.
Soddisfatto?
Lo avesse fatto un altro cantante lo guarderei volentieri.
Perché San Siro?
Era il centro dell’appuntamento per tutti.
La spinta inziale?
E' quella dell’umanità. In certe ore del giorno siamo tutti perdenti, mi piaceva sottolineare questo.
Il titolo sembra vada in direzione ostinata e contraria, però.
Gli Immortali è un titolo che mi imbarazzava, come mi imbarazzano Penso Positivo o Ragazzo fortunato: mi impongono di doverli giustificare in primis a me stesso. E’ una chiosa di 90 minuti alla canzone, gli immortali sono mortali. L'obiettivo era attingere all’aspetto assoluto e tirane fuori un racconto. Le scelte del cast fatte in maniera istintiva. Non è stata fatta una selezione, siamo andati mirati.
A sua moglie Francesca è piaciuto?
Molto. E anche i ragazzi della mia squadra: si commuovono perché è la nostra vita.
E sua figlia Teresa? Condivide il suo lavoro o è nella fase della ribellione?
E' entusiasta del mio lavoro perché credo abbia in testa tutt’altro: per questo non prova né senso di competizione né di inferiorità. Vuole fare l'università, una facoltà scientifica. E' molto buona con me, le sue recensioni dei miei lavori sono sempre pazzesche. Certo, ascolta altra musica perché di me non ne può più ma a oggi non vuole fare la cantante.
Lei ha un pubblico di tutte le età.
La trasversalità del pubblico è un mistero, forse all’inizio non c’erano gli adulti, poi lo sono diventati insieme a me.
Dopo le stragi di Parigi cosa è cambiato?
Tutto ma io mai ho pensato, neanche per un secondo, di fermarmi. A maggior ragione perché uno degli attentati più feroci è avvenuto in una storica sala concerti, il Bataclan. Le condizioni per proseguire ci sono, il pubblico si fa controllare, c’è più sicurezza. Quando inizia il concerto si dimentica tutto: le canzoni più leggere diventano le più intense, sono oasi da difendere.
Le piacerebbe fare l'attore vero in un film vero?
Mi hanno proposto ruoli attoriali che poi ho visto al cinema fatti da altri e mi ha rincuorato. Non so se mi interessa.
L'Italia come la racconta?
Frustrazioni e grandi speranze nello stesso luogo. Dal palco sembra il paese più allegro del mondo. Per me è la terra delle opportunità, forse oggi ci vogliono più forza e determinazione. Il mio pubblico è bello, lo guardo quando si accendono le luci e penso che bella gente, che bell’Italia.
Il suo rapporto con lo storytelling?
Ha a che fare col restare umani, col non rinunciare a emozioni, pensieri, curiosità, spirito critico, le cose in cui credi. Poi c’è la tecnologia che ci separa e mi incuriosisce ma il rapporto umano resta importante. Io lavoro sulle emozioni che fanno sentire vivi. Sono frammentario e frammentato, non è il mio terreno lo storytelling, ammiro chi racconta una storia.
La popolarità le crea ansie?
La fama non è un problema, fa parte dei privilegi.
Farebbe il regista di un film?
Non è mai capitato, non mi manca quell’aspetto lì. Io sono il regista dei miei spettacoli, il regista del mio racconto. Il mio film lo ho iniziato 30 anni fa, non sento l'esigenza di una storia parallela che assorbirebbe tanta energia rischiando di apparire come un vezzo, di distrarre il pubblico.
Riparte col tour, poi che farà?
Mi fermo. Starò un po' a Cortona, un po' negli Stati Uniti, vorrei fare dei giri ma senza programmi.
Anticipazione sul tour nei palazzetti?
Chi ha visto gli stadi, vedrà un'altra cosa. Non è un adattamento, è proprio un altro concerto pensato per i palasport, con momenti più teatrali impossibili negli stadi. L'unico punto in comune, ma è quello che lega tutti i miei concerti, è che sarà una grande festa.