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1994, Antonio Gerardi racconta il personaggio di Antonio Di Pietro VIDEO

Serie TV

Paolo Nizza

Finalmente inizia 1994, la serie che chiude la trilogia iniziata con 1992 e proseguita con 1993. Abbiamo incontrato Antonio Gerardi che interpreta Antonio Di Pietro, l’icona di Mani Pulite.

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“Non esistono piccole parti ma solo piccoli attori”, sosteneva Stanislavskij. E non è certo il caso di Antonio Gerardi, sempre in parte, sempre capace di trasmettere emozioni autentiche a prescindere dai ruoli interpretati sul piccolo e grande schermo. Sicché, quando si è trattato di interpretare una delle figure più iconiche degli ultimi 30 anni del nostro Paese, Antonio ha dato il meglio di sé. Basta guardare l’inizio del quarto episodio di questa ultima stagione della trilogia, in cui si racconta il disperato tentativo di Silvo Berlusconi di convincere Antonio Di Pietro ad accettare un incarico di governo (avvenuto il 7 maggio del 1994), per comprendere il talento di Gerardi. Insieme a Paolo Pierobon (un immenso Cavaliere) danno vita a un dialogo da antologia della televisione. Non era semplice vestire i panni di un magistrato entrato nel cuore degli italiani, con il novanta per cento del consenso popolare. L’attore potentino ha lavorato per sottrazione perché in questo caso “meno è meglio”. Nell’intervista è invece, generoso e parla volentieri di un personaggio che (si capisce dall’entusiasmo con cui ne parla) ha amato molto interpretare. Un uomo a capo di un treno chiamato Mani Pulite. Una freccia ad alta velocità che, tuttavia, a un certo punto sceglierà di fermarsi.

Per la serie 1994, straordinario capitolo finale di una trilogia epocale, come ti sei preparato?

Ho rivisto solo pochi filmati dell’epoca e mi sono molto spaventato. Ho provato a rifare Di Pietro davanti allo specchio e l’effetto era quello della parodia, tipo Bagaglino. Il rischio di sfociare nella mera e grottesca imitazione era molto alto. L’unica soluzione era fare un “mio” Antonio Di Pietro, quindi evitando il “che’ c’azzecca” e le altre frasi tipiche pronunciate da magistrato molisano. Detto questo, bisognava comunque restare fedeli alla realtà e attenersi ai fatti venuti, visto che non vesto i panni di un personaggio di fantasia. Insomma, è stata una bella sfida.

Immagino che pronunciare spesso alcuni termini giudiziari che solitamente utilizzano gli avvocati nei processi non sia stato semplice

No, tutt’altro, certe parole avevo proprio difficoltà a dirle. Però poi con il lavoro e l’impegno costante ci sono riuscito.

C’è una battuta o una scena che ti è rimasta più impressa delle altre?

Sì, quando dopo il decreto Biondi, arriva l’ispezione del ministero di giustizia sulla procura di Milano.  Il mio personaggio resta profondamente scioccato e dice ai suoi collaboratori: “Ma dove cXXXo andiamo? Con questi qua dentro non possiamo manco lavorare.”

Il tuo ricordo più vivido del 1994

In quell’anno ero a Milano e lavoravo alla radio. Ricordo Di Pietro intrappolato nel traffico con la gente che lo incitava. Era un idolo, una sorta di Robin Hood della magistratura. Usava un linguaggio trasversale in grado di arrivare a tutti.  Rammento la speranza degli italiani di cambiare questo Paese. Quando tutto è finito anche io sono rimasto con l’amaro in bocca.

Com’è stato lavorare con Stefano Accorsi?

Fantastico, sul set Stefano è molto generoso. Quando reciti con attori così bravi, tutto risulta più facile. È come giocare in Champions League, insieme ai fuoriclasse. I passaggi sono più precisi e il livello tecnico della squadra assai più elevato.

Come hai vissuto sul set la presenza quotidiana degli sceneggiatori della serie?

Benissimo. Ci ha aiutato molto, nei raccordi, nelle battute, nell’entrare sempre più in sintonia con i personaggi. È un esempio che dovrebbero seguire tutti.

Infine perché guardare 1994?

Io ho partecipato a tanti film e a molte fiction televisive. Ma questo è un progetto con un sapore internazionale. Come si dice a Milano "1994 la serie" è Tanta Roba.