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Twin Peaks - La serie evento: la recensione dell'episodio 13

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La dolcezza di una crostata di ciliege si alterna alla brutalità di una gara di braccio di ferro. Una conversazione sulla sessualità dei mormoni sfuma nelle note di una smielata canzone d'amore. Fantasmi e demoni, nella tredicesima puntata di Twin Peaks - La serie Evento, David Lynch continua il suo Wicked Game, tra passato, presente e futuro. In attesa dei prossimi appuntamenti con la serie - ogni venerdì alle 21.15 per gli episodi doppiati in italiano, e ogni notte tra domenica e lunedì alle 02.00, prima degli episodi della nuova stagione de Il Trono di Spade, per quelli in versione originale sottotitolata -, leggi la recensione del tredicesimo episodio. Ovviamente ci sono SPOILER per chi non ha ancora visto l'episodio!!  

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di Paolo Nizza

 

"Noi siamo i nostri propri demoni". Lo sapeva bene Goethe e lo sa pure David Lynch. Come Charlie Meadows , l’assicuratore e/o assassino protagonista di Barton Fink, il sardonico David desidera mostrarci la vita della mente. Anche attraverso l'apparente spensieratezza di Candie, Mandie e Sandie, le tre civettuole grazie al servizio dei fratelli Mitchum. E' una delizia per gli occhi ammirare il femmineo terzetto, in rigorosa rosa confetto, inaugurare il tredicesimo episodio di Twin Peaks - La serie evento. Le novelle regine maghe riempiono di doni Dougie Jones  e Bushnell Mills. Un'epifania a Las Vegas, tra sigari Montecristo, gemelli in diamanti, BMW e una fantasmagorico luna-park in miniatura per il piccolo Sonny Jim. Insomma, l'ennesimo istante festoso e folle che è ormai un marchio di fabbrica delle produzioni made in Lynch.

Botte, botte, botte: mai una parola buona. E' il destino degli uomini malvagi. Certo, il crimine paga e paga bene soprattutto se si bazzica un covo di balordi nel Sud Dakota. Evil Cooper è pronto a ripagare il suo assassino, ovvero l'infido Ray, della stessa moneta. Ma per spedire nella Loggia Nera il voltagabbana, Mister C deve battere a braccio di ferro Renzo, il calvo e nerboruto capobanda. Ancora una volta pare di stare in un film di Tarantino. Lerci pendagli da forca si godono lo show. Una sorta di Over The Top di stalloniana memoria. Solo senza eroi. Siccome il Cooper malvagio è un demone per il pelatone non c’è scampo. Anzi c'è la morte. Un pugno che porta in sé tutta la violenza di questo e dell'altro mondo. L'anello verde della caverna dei Gufi sancisce il trapasso. Ray se ne va all'inferno rivelando che è stato Phillip Jeffries (nel film prequel di Twin Peaks era interpretato da David Bowie) a commissionare l'assassinio del Bad Cooper. Torna il fantasma del passato. Il fuoco continua a camminare con noi.

Parafrasando i Beatles: Cherry Pie Forever. Si sa come sono fatte le ciliege: una tira l'altra. Il caffè invece fa male da morire. Soprattutto se corretto con aconitina. Sollecitato dall'untuoso Duncan Todd, Anthony Sinclair (un Tom Sizemore in stato di grazia) si appresta quindi ad avvelenare, in modalità Gaspare Pisciotta, il suo candido collega Dougie. Ma in una sequenza di rara intensità, il buon Jones come l'idiota di Dostoevskij spariglia le carte dell'aspirante assassino. Il dettaglio della schiena di Sinclair con tanto di giacca forforosa suggellato dal tocco magico di Dougie tracima nel pentimento del corrotto pronto a confessare i propri crimini a Bushnell e a testimoniare contro Sinclair.

Come nel precedente episodio, i Natural Born Killers di Twin Peaks, ovvero Hutch e Chantal Hutchens ci regalano perle di folgorante stupidità. Visto che si trovano nello Utah, questa volta l'argomento affrontato sono i Mormoni e la loro strampalata sessualità. Non manca neanche l'intermezzo comico affidato ai tre fratelli Fusco. Più che detective sembrano i Three Stooges. Infatti, buttano al vento il referto con le impronte di Dougie, visto che quelle impronte appartengono a Dale Cooper, un ex agente F.B.I. evaso dalla prigione federale.

 

Nella tredicesima puntata di Twin Peaks, incontriamo per la prima volta Walter Lawford, businessman in affari (anche sentimentali) con Norma Jennings. Si scopre, quindi che il Double R Diner si è trasformato in un franchising. Ma qualità e quantità non vanno quasi mai d'accordo, soprattutto se si parla di profitto. E forse dietro il consiglio del manager di utilizzare ingredienti meno pregiati e costosi per la celebre torta di ciliege si cela una critica di Lynch alla logica spietata dello Studio System. 

D'altronde, per citare le parole di August Strindberg: "Tutta la vita è fatta solo di ripetizione... " Lo sa bene Sarah Palmer. In un delirio di Bloody Mary e mozziconi di sigarette, la mamma di Laura, affondata sul divano, guarda a loop in tv la stessa scena tratta un vecchio match di boxe. Una sequenza molto disturbante nella sua desolante semplicità e intervallata dalle consuete scariche elettriche provenienti dalla cucina di Sarah. Non è che Audrey Horne se la passi molto meglio, visto che nell’episodio 13 pronuncia questa battuta: " E come se fossi in un altro posto e fossi un’altra persona" Un lamento che rimanda alla Laura Dern di Inland Empire e al suo “Non capisco bene cosa ci faccio qua”.
E lo scambio di battute con il marito Charlie sembra un dialogo in cui le parole volano come immagini ipnagogiche dipinte da Salvador Dalì.

Gran finale musicale. Questa volta sul palco del Roadhouse, con tanto di chitarra, si esibisce James Hurley. Dopo 25 anni, il bel centauro ci ripropone "Just You" con tanto di vocina a metà fra i Cugini di Campagna e Celine Dion.

Certo questa volta, a differenza della performance datata 1989, al suo fianco non ci sono Maddy Ferguson e Donna Hayward. Tuttavia quello smielatissimo "Together forever in love", funziona ancora come si evince dalle lacrime che rigano il volto di una giovane spettatrice. La puntata si chiude sul Big Ed Hurley. Il proprietario della locale pompa di benzina, la Big Ed's Gas Farm guarda passare due auto identiche. Il suo riflesso pare non corrispondere ai suoi movimenti. Ma cos’è davvero reale in Twin Peaks?

A questa domanda Baudelaire risponderebbe cosi: "Chi guarda da fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose quante ne vede chi guarda una finestra chiusa.”