Appuntamento con Charles Manson al Dakota di New York

Serie TV
Gethin Anthony, l'attore che interpreta Charles Manson nella serie televisiva Aquarius, e la palazzina Dakota in una foto da Gettyimages
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Anche se i più collegano la celebre palazzina newyorchese all’omicidio di John Lennon, ci sono tantissimi indizi e inquietanti coincidenze che rendono il building di fronte a Central Park protagonista di tanti altri assassinii e massacri della storia americana. Primo fra tutti, quello ordito da Charles Manson nella villa di Roman Polanski e Sharon Tate. Dopo che il regista aveva finito di girare Rosemary’s Baby  guarda caso proprio lì, nell’edificio più maledetto d’America e del mondo. Per chi non si sta perdendo nemmeno una puntata di Aquarius 2 su Sky Atlantic, in onda ogni lunedì sera con avvincenti episodi che raccontano proprio di Manson, il più famoso ed efferato serial killer a stelle e strisce, ecco una tesi che, se mai fosse vera, potrebbe far crollare i prezzi al metro quadro degli appartamenti del Dakota… Altro che Home Sweet Home!

di Camilla Sernagiotto

 

C’è chi non ha mai sentito parlare di Jack Lo Squartatore ma non esiste persona al mondo alla quale non si accapponi la pelle sentendo pronunciare il seguente nome: Charles Manson.

Uno dei mostri meno sacri della storia americana in quanto mero mostro, diavolo in persona che è riuscito a ottenebrare le menti di decine di seguaci della sua setta: la Family che, nonostante si sia sempre professata come un gruppo di ferventi cristiani, è stata tutto fuorché una Holy Family.

La figura di Charles Manson purtroppo affascina tanto quanto quella di una rock star. Ogni leader carismatico in grado di plasmare le menti possiede una calamita nello sguardo, un magnetismo cerebrale che spaventa chiunque, facendogli temere che solo incrociando gli occhi di costui si possa subire un lavaggio del cervello.

Tutti, nessuno escluso, vogliono conoscere il male a fondo; forse per sapere girare poi alla larga, per riconoscerlo al fine di evitarlo, ma anche perché il lato oscuro dell’essere umano spaventa al punto di attrarci inesorabilmente.

 

È proprio la presenza del personaggio di Charles Manson a essere uno degli ingredienti che hanno assicurato un successo planetario ad Aquarius, la serie televisiva ambientata negli anni Sessanta che racconta le vicende dei detective Sam Hodiak e Brian Shafe alle prese con il peggiore dei maniaci in circolazione.

E nella seconda stagione, in onda su Sky Atlantic ogni lunedì sera, il personaggio di Manson è ancora più presente e protagonista, facendo registrare un livello di brivido altissimo, pari all’audience insomma…

Per quanto riguarda il vero Charles Manson, rinchiuso ermeticamente nel carcere californiano di Corcoran con un regime di fine pena mai, tra i tanti studi, le varie ipotesi, gli innumerevoli collegamenti fatti negli anni tra il killer seriale e qualsiasi altra tragedia e bruttura targata stelle e strisce, non è mai stata avanzata la tesi che lega il temutissimo nome di persona a un altro temutissimo nome, stavolta di edificio: il Dakota.

 

La palazzina Dakota è una delle costruzioni più celebri della New York musicale e cinematografica non solo perché dimora di artisti e set di film famosi, ma purtroppo anche (e soprattutto) per una sorta di maledizione che spesso la vide al centro della cronaca nera americana.

Uno dei fatti che la resero nota risale all’8 dicembre 1980, giorno in cui John Lennon fu ucciso dai cinque colpi di pistola di Mark David Chapman proprio di fronte all’ingresso del Dakota in cui l’ex-beatle abitava assieme a Yoko Ono.

Nonostante ciò, il Dakota rimase un palazzo in cui vivere divenne un fatto alla moda per l’alta società newyorkese, tanto da renderlo la dimora di alcune tra le più celebri star mondiali come Paul Simon, Bela Lugosi, Bono, Judy Garland e Lauren Bacall.

Chiunque desideri traslocare in uno degli appartamenti della palazzina neo-gotica, infatti, è convinto che l’omicidio dell’ex cantante dei Beatles sia stata una sfortunata coincidenza nonché un caso isolato, lontano dalla diceria riguardante il destino “maudit” di chi vi fa’ il proprio ingresso.

Questo fato maledetto è attribuibile alla posizione del condominio che pare giaccia su un antico cimitero indiano.

Benché tutto ciò che appare anche lontanamente macabro e sinistro negli U.S.A. si dice sia stato costruito sopra le rovine di un cimitero indiano, il Dakota è indubbiamente l’edificio che si ricollega a due tra le più note tragedie americane: direttamente all’assassinio di John Lennon, indirettamente alla strage compiuta dalla Family di Charles Manson nella villa del regista Roman Polanski.

 

Il 1968 vide l’uscita del film del regista polacco dal titolo Rosemary’s Baby la cui trama è incentrata sulla nascita dell’Anticristo, il figlio del diavolo di cui Rosmary è inconsciamente gravida.

La protagonista, interpretata da una giovanissima Mia Farrow, si è appena trasferita con il marito in un appartamento del “Branford”, nome fittizio con il quale il Dakota viene designato. Nonostante il miglior amico di Rosemary le consigli vivamente di non entrare in quella che chiamavano “la casa del diavolo” per via di un inquilino ottocentesco esperto di stregoneria che annunciò di aver evocato Satana, la coppia decide ugualmente di stabilirvisi; di lì a poco il marito della donna prometterà alla setta satanica composta dagli inquilini del palazzo il proprio figlio in cambio del successo, suggellando il leggendario “patto del diavolo” di derivazione goethiana.

 

Appena prima dell’uscita del film, un terribile fatto è destinato a gettare oscure ombre sulla pellicola: il 9 agosto del 1969 la moglie del regista, Sharon Tate, viene torturata ed assassinata assieme agli ospiti di un party indetto nella sua villa di Cielo Drive da una delle sette più note della storia, ossia la Family di Charles Manson.

Ciò che appare inquietante è il parallelo tra la vicenda e una delle scene di Rosemary’s Baby: nel film la protagonista, già incinta di alcuni mesi, organizza una festa nel proprio appartamento del Dakota invitando vecchi amici; tra gli ospiti, compare la moglie del regista, l’attrice Sharon Tate, benché non accreditata nei titoli di coda.

La strana coincidenza rimanda alla scena purtroppo reale del massacro indetto da Manson: la Tate, non più invitata ma padrona di casa, organizza un party nella propria abitazione con alcuni amici di vecchia data e viene assassinata da una setta satanica, incinta all’ottavo mese.

L’unica differenza, oltre al fatto che Rosemary non verrà uccisa dalla setta del film, è che alla festa di Sharon Tate non presenzia suo marito, mentre John Cassavetes (che interpreta il marito di Rosemary) partecipa al party. Il regista Roman Polanski si salvò proprio grazie al suo film, dal momento che, finite le riprese in America, si era recato in Inghilterra per il montaggio e la postproduzione.

 

Quando la polizia fece irruzione nella villa di Polanski, trovò uno scenario raccapricciante che si componeva di cadaveri e di inquietanti scritte sui muri che recitavano due frasi: “Death to Pigs” e “Helter Skelter”. La prima suona come semplice insulto rivolto alle vittime, considerate dalla Family alla stregua di maiali da macellare, mentre la seconda, trovata sullo specchio della camera da letto e scritta con il sangue di Sharon Tate, è il titolo di uno dei brani di quello passato alla storia come il White Album dei Beatles.

Quando Charles Manson viene arrestato come mandante degli omicidi, spiega di essere stato ispirato proprio da quel disco e, in particolare, da quella canzone; dichiarò di aver scoperto un messaggio profetico a lui indirizzato che gli ordinava di diffondere il caos, dunque pianificò l’uccisione della Tate al fine di far ricadere la colpa sulla comunità afroamericana e dare così l’avvio ad una guerra di razze.

Manson vide i Beatles come i Quattro Angeli dell’Apocalisse menzionati nel libro Rivelazione del Nuovo Testamento, credendo che le loro canzoni dicessero a lui e ai suoi adepti di prepararsi (“Look out, cos’ here she comes!”), quindi chiamò la guerra che stava per scatenare proprio “Helter Skelter”, traducibile in “caos, finimondo”.

Il motivo per il quale intendeva uccidere Roman Polanski e la moglie apparve al processo estremamente banale: perché erano star milionarie che meritavano di morire come maiali.

Nessuno pensò di cercare altri moventi, essendo chiara la fragilità psichica del soggetto in questione, tuttavia alcune coincidenze particolari farebbero sospettare una specie di vendetta ai danni del regista proprio a causa di quel suo film: Rosemary’s Baby.

Anche se Manson non si professò mai satanista, ma anzi la reincarnazione di Gesù Cristo, le sue idee e le azioni della sua cerchia sono sempre state giudicate quelle tipiche di una setta satanica simile a quella del film di Polanski.

Nel caso invece ci si soffermasse sul sentimento cattolico di cui la Family si dichiarava animata, gli omicidi potrebbero apparire come una punizione inferta a chi commette il peccato di adorare Satana. A questo proposito è interessante sapere che Polanski si avvalse durante le riprese di Rosemary’s Baby della collaborazione di Anton Lavey, fondatore della Chiesa di Satana nel 1966; questo famoso satanista americano si era avvicinato all’occultismo nel 1951 attraverso le teorie di Aleister Crowley, dopodiché aveva maturato proprie idee che stanno alla base della sua Chiesa.

Benché non risulti facile crederlo, questa Chiesa godeva della simpatia da parte dei media grazie al supporto di alcune star dello spettacolo tra cui spiccavano i nomi di Jayne Mansfield e, guarda caso, di Roman Polanski.

Soltanto dopo le stragi di Charles Manson i media americani iniziarono una crociata anti-satanista che spinse Anton Lavey a ridimensionare la sua Chiesa di Satana (la cui attività riprenderà a pieno regime negli anni 80 grazie alla nomina a reverendo di Marilyn Manson).

 

L’ipotesi di una punizione inferta dalla Family ai danni di chi aveva creato una pellicola satanica come quella di Rosemary’s Baby è certamente troppo azzardata, nonostante altri due particolari concorrano a renderla suggestiva; il primo risale al 10 agosto 1969, giorno seguente la strage in casa Polanski in cui Charles Manson ordina ai suoi seguaci un altro massacro, stavolta ai danni del droghiere Leno La Bianca e di sua moglie; stranamente non si tratta di star milionarie del cinema o della musica, però la donna assassinata ha un nome significativo: Rosemary.

La seconda coincidenza emerge in occasione del processo, nel momento in cui Manson rivela l’identità degli altri personaggi famosi che comparivano sulla sua lista nera: tra questi, spicca quello di Frank Sinatra.

Ciò potrebbe apparire insignificante, ma non se calato nel contesto di quell’anno: “The Voice” aveva da poco sposato una ragazza di vent’anni più giovane, creando uno scandalo di proporzioni considerevoli nell’America di quel tempo. A causa dello scalpore che ne era nato, Sinatra decise di chiedere il divorzio alla sua giovane moglie, portandole di persona i documenti di separazione sul set del film in cui la consorte stava recitando.

Le carte del divorzio vennero così firmate da Mia Farrow nell’appartamento del Dakota, proprio sul set di Rosemary’s Baby.

 

Se da un lato questi indizi non bastano a fornire una prova circa il peso che la pellicola di Roman Polanski ha avuto nella vicenda della morte di sua moglie, dall’altro Manson potrebbe essere collegato alla palazzina Dakota almeno per un altro omicidio: quello di John Lennon.

È risaputo che Manson fosse un appassionato fan dei Beatles al punto di voler diventare non solo una Rockstar, ma proprio il quinto membro del suo gruppo preferito.

A tal pro nel 1967 impara a suonare la chitarra e nell’estate del 1968 registra alcuni suoi pezzi in uno studio di Los Angeles. I soldi per le incisioni li ottiene da Dannis Wilson, batterista dei Beach Boys conosciuto tramite due sue seguaci della Family; i brani registrati non ottengono però il successo sperato, facendo precipitare Manson nello sconforto. A ciò si aggiunse la rabbia causata dal rifacimento della sua canzone Cease to Exist da parte dei Beach Boys che, a sua detta, si sarebbero limitati a modificare il titolo in Never Learn Not to Love e a cambiare qualche verso e bridge per poi inserirlo nel loro disco 20/20 del 1969.

Questo fatto provocò la rottura tra Manson e Wilson, tuttavia prima della chiusura dei rapporti il batterista aveva offerto all’amico una delle sua ville di Bel Air assieme alle sue macchine e sarà proprio in quella casa che la Family pianificherà l’intrusione a Cielo Drive, il ricco quartiere di Los Angeles in cui viveva Sharon Tate.

Charles Manson, come è noto, non prese mai parte materialmente per quanto riguarda gli omicidi e, anche nel caso della strage in casa Polanski, lui aspettò fuori, seduto in una delle macchine di Dannis Wilson.

È strano che sulla sua lista nera non siano mai apparsi i nomi dei Beach Boys da un lato e quelli dei Faboulous Four di Liverpool dall’altro, anche se nel secondo caso a qualcuno potrebbe sembrare strana una considerazione di questo tipo: i Beatles erano gli idoli indiscussi di Manson, dunque sarebbe stato improbabile pianificarne anche solo la torsione di un capello.

Eppure quella che si rivelò molto più della torsione di un capello, ovvero l’omicidio di John Lennon, ebbe come protagonista proprio un fan animato dal medesimo ardore che Manson nutriva per i Beatles: Mark David Chapman.

Anche lui, esattamente come il capo della Family, sognava di diventare famoso, ma il suo desiderio non si “limitava” alla volontà di essere uno dei Beatles: innanzitutto la sua idolatria aveva come totem in particolare Lennon e, in secondo luogo, Chapman non sperava di diventare semplicemente come il suo mito, bensì voleva trasformarsi in John Lennon stesso, arrivando nella sua ossessione al punto di sposare una sosia di Yoko Ono.

Parallelamente a Manson, pure lui aveva architettato l’omicidio di una star in previsione dell’attenzione che avrebbe attirato su di sé e delle luci della ribalta di cui sarebbe stato finalmente protagonista. Per un attimo l’ex guardia giurata, tossicodipendente e malato di mente Mark David Chapman avrebbe potuto tramutarsi in John Lennon, solamente nel momento in cui avrebbe premuto il grilletto contro di lui.

In tribunale tentò di giustificarsi dicendo che si era accorto che Lennon stava tradendo gli ideali della sua generazione e che quindi, sentendosi investito della missione di punirlo, gli sparò. Anche Chapman voleva punire qualcuno, qualcuno che aveva peccato.

Ma di cosa si era macchiato Lennon?

Se si decidesse di analizzare il caso dal punto di vista di un fan dei Beatles, l’elenco dei peccati occuperebbe con ogni probabilità decine di pagine, ma per quanto concerne il parallelo tra la punizione inflitta a Polanski e quella a John Lennon, si potrebbe nuovamente parlare di satanismo. Esistono infatti numerosi elementi che collegano i Beatles al lato oscuro, primo tra tutti uno dei loro album più importanti dal punto di vista storico: Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band del 1966.

Non è il disco in sé ad avere tracce di occultismo, ma la sua famosa copertina che mostra le facce di molti personaggi “fondamentali per l’evoluzione artistica del gruppo”, come i Beatles stessi dichiararono. In mezzo alle tante effigi che vanno da Marx a Edgar Allan Poe, compare un viso allora poco noto che Lennon volle inserire ad ogni costo. Avendogli già impedito l’inserimento di Adolf Hitler, Mc Cartney e gli altri permisero al cantante di attaccare quel volto; si tratta di Aleister Crowley, uno stregone esperto di occultismo che ispirò negli anni Cinquanta proprio quell’Anton Lavey di cui Polanski si servì per rendere credibili i rituali satanici presenti in Rosemary’s Baby.

 

Nello stesso anno in cui uscì Sergent Pepper, Lennon dichiara in un’intervista: “Siamo più importanti di Gesù Cristo, chissà se dureremo più noi Betales o il Cristianesimo”, mentre Ringo aggiunge: “Noi siamo antipapisti e anticristiani”.

Queste parole provocano un’insurrezione da parte degli integralisti americani e l’etichetta di satanisti viene apposta sulla grancassa della band; le scuse che Lennon è costretto a porgere pubblicamente non bastano a debellare l’alone diabolico di cui ormai il quartetto è ammantato, inoltre i Beatles iniziano a essere rimproverati di un altro fatto oscuro, ossia dell’inserimento di messaggi subliminali nascosti nei loro dischi, intelligibili solo ascoltando i solchi a rovescio.

Tra questi, quello ritenuto più di tutti un’evidente prova del satanismo del gruppo viene scoperto nel pezzo Revolution n. 9 in cui una voce nasale continua a ripetere “number nine, number nine, number nine”: se la frase viene ascoltata al contrario, diventa “Turn me on, Dead Man” (eccitami, uomo morto); alcuni esegeti dotati di una fervida fantasia sono arrivati a sostenere che l’uomo morto in questione sarebbe proprio Gesù Cristo e che quindi la frase suonerebbe blasfema e satanica.

 

A prescindere da tutte le interpretazioni affibbiate a qualunque nota, gesto o parola dei Beatles, l’unico legame con il satanismo che sia mai stato provato sarebbe quello che unisce John Lennon a Charles Manson.

Il capo della setta arrivò a far convocare il cantante al banco degli imputati, accusato di averlo spinto a uccidere per mezzo di alcune sue canzoni come Helter Skelter.

Nonostante quel pezzo sia stato scritto da Paul McCartney (anche se riporta la firma sia sua sia di Lennon), colpe e onori furono tributati solo al cofirmatario, così come dodici anni dopo fece Chapman. Però nel 1980 il suo fan, dimentico degli onori, si soffermò esclusivamente sulle colpe del cantante, a suo avviso traditore della sua generazione, ma se vogliamo continuare ad azzardare ipotesi, si potrebbe anche considerarlo quale vittima castigata dal religiosissimo Chapman proprio a causa della piega satanica che il musicista stava prendendo.

L’omicida di John Lennon si è sempre dichiarato un fervente cristiano evangelico, al punto che, dopo la sua condanna, un’associazione religiosa ne ha richiesto la scarcerazione.

Durante il processo, rivelò di essere stato fortemente influenzato dal romanzo di Salinger Il giovane Holden di cui aveva una copia con sé al momento dell’uccisione e confessò di essersi recato a New York un’altra volta, in passato, con l’obiettivo di uccidere Lennon, ma di non esserci riuscito.

Solo davanti al Dakota ce la fece.

 

Probabilmente tutto ciò che è stato detto è semplicemente legato da piccole coincidenze di poco valore, ma se Manson ha commesso ciò che ha commesso forse per colpa di un film girato nel Dakota, ha detto di essere stato ispirato da Lennon e Lennon dodici anni dopo è stato ucciso proprio davanti a quel palazzo da un mitomane munito di una copia de Il giovane Holden da cui dice di aver tratto ispirazione, forse J.D. Salinger ha fatto bene a tenersi alla larga dalla palazzina Dakota.

Solo così ha potuto tagliare il traguardo di 91 anni e morire di malattia, altrimenti la maledizione non gliel’avrebbe fatta passare così liscia…

 

Il suo Holden Caulfield si chiede dove vanno le anatre di Central Park quando il lago ghiaccia.

Speriamo per loro non sui tetti del Dakota.

Spettacolo: Per te