Una settimana “senza” il dottor Giovanni Mari

Serie TV
Anna e Giovanni nello studio di lei
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La serie tv diretta da Saverio Costanzo è ormai finita e Pietro Roberto Goisis, lo psicoterapeuta della S.P.I. (Società Psicoanalitica Italiana) che aveva inaugurato la rubrica “Una settimana con il dottor Giovanni Mari” tira oggi le somme

di Pietro Roberto Goisis

In Treatment è finito!Lo schermo è vuoto. Il divano pure (il lettino, l’hanno detto i sapienti, non c’è mai stato).
È vuota anche la poltrona del dottor Mari. Anche il suo studio è deserto.
Sappiamo qualcosa dei suoi pazienti. Sara è tornata al suo lavoro e alla sua vita. Dario è morto. Alice ha ripreso a danzare; l’adolescenza e il suo sviluppo si sono riavviati anche senza Giovanni…. Lea e Pietro sono rimasti nella stanza vuota, nella quale Mari li ha lasciati a “riflettere”…con un abbandono del campo pieno di significati. Anna ha ripreso a pensare ai suoi libri e alla sua tristezza.
Che ne sarà di Giovanni? alla fin fine forse il vero protagonista della fiction, quello che potremmo definire il nostro reale oggetto di cura e attenzione, il nostro paziente.

Il paziente come miglior collega, diceva un maestro…
Tutto tace, quindi. Qualcuno sarà contento, altri (noi…) un po’ tristi e abbandonati.
Anche se per seguire quotidianamente le sue vicende abbiamo rischiato crisi coniugali, ribellioni familiari o l’isolamento sociale, in una sorta di profonda identificazione con il momento problematico che stava vivendo il nostro “osservato speciale”.
Torniamo ai nostri studi, ai nostri pazienti, al nostro lavoro quotidiano.

Giovanni Mari rimarrà sempre nei nostri ricordi come un “collega” un po’ anomalo, un po’ familiare, un po’ specchio e rappresentazione dei nostri aspetti più umani e terreni, dei nostri errori e delle nostre debolezze, della incertezza e fragilità che ci prende in qualche momento, quando non sappiamo bene cosa fare, quando le nostre vicende personali faticano a rimanere fuori dalla stanza d’analisi, o quando, al contrario, il pensiero per i nostri paziente ci segue fin dentro casa nostra.

A me rimarranno in mente quegli occhiali che teneva spesso in mano, ma non indossava mai (è per questo che ogni tanto “non ci vedeva tanto bene” con i pazienti?); poi le sue braccia spesso conserte, come a proteggersi, a tenersi insieme. Infine le sue scarpe da trekking, abbastanza anomale per un cittadino romano e per uno studio medico o psicologico, ma abbastanza comprensibili se intese come metafora del faticoso cammino che il lavoro quotidiano con la sofferenza mentale comporta. Continuo a pensare che la migliore prestazione professionale di Giovanni (ma anche di Castellitto, non a caso, a mio avviso, padre di quattro figli…) sia stata quella mostrata con Alice. Una adolescente ribelle e sfidante, ma anche l’unica paziente che ha notato le sue scarpe e le ha addirittura sognate e utilizzate per riconoscere il suo terapeuta in un sogno. (sulla cui assenza all’inizio della serie qualcuno aveva frettolosamente costruito una critica sulle lacune e lo scarso rigore psicoanalitico di In Treatment).
Ricorderò, poi, le emozioni che la visione di questo “terapeuta di casa nostra”, ingaggiato con i suoi impegnativi pazienti, mi ha procurato. In queste settimane molti persone, senza esperienza pratica di una psicoterapia, mi hanno detto ripetutamente: “ma io non lo sapevo che fosse così faticoso fare questo mestiere…”. E molti pazienti si sono premurati di affermare, forse consapevoli di questa fatica: “ma io non sono mica così complicato…”.

Mi rimarrà, inoltre, l’ammirazione per gli attori che con tanta capacità hanno impersonato i vari personaggi coinvolti nella fiction. Se l’immedesimazione è alla base di una buona interpretazione attoriale, certamente loro ne hanno data un’ampia dimostrazione.
Ammirazione, ancora, per chi ha avuto il coraggio di produrre la serie italiana.
E reale e profonda stima per il gruppo degli sceneggiatori, quasi dei “colleghi sul campo”, per competenza, fantasia, immaginazione e capacità narrativa.

Soprattutto, però, mi rimarranno per sempre in mente tutti i colleghi che hanno affrontato questa sfida inedita per degli psicoanalisti, quella di diventare commentatori, quasi in tempo reale, di un evento mediatico. Colleghi, alcuni poco conosciuti, altri quasi amici, tutti compagni di viaggio che ho apprezzato per la qualità, ricchezza e creatività dei processi messi in atto. È stato per tutti un gioco praticato in modo maledettamente serio. L’unico che permette di divertirsi per davvero. E per il quale sono loro profondamente grato. Siamo stati davvero e senza false modestie un “grande gruppo”.
Avremo un futuro? Lo avrà In Treatment?
Per ora ricordiamoci cosa c’è stato…


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