Sky.it inaugura la rubrica “Una settimana con il dottor Giovanni Mari” in cui gli psicoterapeuti della S.P.I. (Società Psicoanalitica Italiana) commentano le sedute della serie culto in onda su Sky Cinema 1 dal lunedì al venerdì alle 20.30
di Pietro Roberto Goisis
Con quale atteggiamento uno psicoanalista si appresta a vedere e commentare la versione italiana di In Treatment? Tenendo conto che tratta del suo lavoro e che conosce molto bene e ha apprezzato la serie originale…
Ho pensato a come sarebbe opportuno stare quando si vede un film tratto da un libro molto amato.
“Senza memoria e senza desiderio” direbbe uno dei nostri maestri; lo stesso atteggiamento con il quale in genere si iniziano le sedute con i nostri pazienti. Concetto che per me significa assenza di preconcetti e di aspettative costruite nella mia mente. Condizione verso la quale si può solo tendere, come una posizione zen o un atteggiamento meditativo.
Realizzare quindi quella “nuda attenzione” che un’altra collega ci ha raccomandato.
Come un bambino, uno sciocco, un ingenuo o un essere curioso e interessato al mondo.
Anche Giovanni Mari, lo psicoterapeuta che Sergio Castellitto abilmente interpreta, lui non nuovo a questo ruolo (era un giovane ed entusiasta neuropsichiatra infantile ne Il grande cocomero di Francesca Archibugi, 1993), a me è sembrato nudo, quasi indifeso nel suo studio del quale chiude accuratamente a chiave una fragile porta a vetri dopo ogni seduta.
Questa misteriosa psicoanalisi che “solo chi ha provato può conoscere”, diventa un oggetto meno oscuro. Anche tra noi terapeuti ci si dice sempre: “dobbiamo mostrare davvero quello che diciamo e facciamo!”. In treatment, seppur con la fiction, lo realizza. Onorario compreso…
Senza mai dimenticarci che è in primo luogo uno sceneggiato che parla della vita di un terapeuta e dei suoi pazienti, e, solo di conseguenza, parla di psicoterapia.
Giovanni, secondo il mio stile e il mio modo di essere uno psicoanalista, commette degli “errori”. Non dà la mano ai pazienti quando li saluta; passa al tu, involontariamente prima e consapevolmente poi, solo perché Sara glielo chiede, non si accorge del tipo di transfert che lei ha sviluppato, non comprende alcune comunicazioni, forse fatica ad accedere ai piani più profondi; sembra spaventato con Dario, al quale lancia una sfida; gestisce a fatica la contro aggressività con Lea e Pietro ... In realtà, chi di noi non commette mai errori? Non vedo pietre volare…
D’altra parte Giovanni è anche un analista molto attento, ascolta con pazienza, cerca di sviluppare e stimolare la capacità di pensare dei suoi pazienti, partecipa ai loro racconti, si mette in gioco, coltiva il dubbio e la riflessione. Sembra davvero ben rappresentare “due persone che parlano in una stanza”. A volte, poi, parla più con i gesti che con le parole, come quando porge la coperta a Sara che ha freddo (“L’elogio della stufetta”…), sorride con Alice, trova abilmente il modo di “prenderla”, le procura una cannuccia per dissetarsi. Non tutti, e non sempre, sono capaci di gesti e di comunicazioni di questo tipo e al momento giusto.
Certamente è anche un semplice essere umano, a volte in difficoltà, in un momento di crisi. A tratti è pure difficile aiutarlo come ci mostra bene il suo rapporto conflittuale con Anna, la sua supervisore/terapeuta. Aspetto che consente di capire maggiormente la complessità di una terapia.
Una domanda per tutti: da quale lato della scrivania è più facile stare? Su quale delle due poltrone?
Con quale atteggiamento uno psicoanalista si appresta a vedere e commentare la versione italiana di In Treatment? Tenendo conto che tratta del suo lavoro e che conosce molto bene e ha apprezzato la serie originale…
Ho pensato a come sarebbe opportuno stare quando si vede un film tratto da un libro molto amato.
“Senza memoria e senza desiderio” direbbe uno dei nostri maestri; lo stesso atteggiamento con il quale in genere si iniziano le sedute con i nostri pazienti. Concetto che per me significa assenza di preconcetti e di aspettative costruite nella mia mente. Condizione verso la quale si può solo tendere, come una posizione zen o un atteggiamento meditativo.
Realizzare quindi quella “nuda attenzione” che un’altra collega ci ha raccomandato.
Come un bambino, uno sciocco, un ingenuo o un essere curioso e interessato al mondo.
Anche Giovanni Mari, lo psicoterapeuta che Sergio Castellitto abilmente interpreta, lui non nuovo a questo ruolo (era un giovane ed entusiasta neuropsichiatra infantile ne Il grande cocomero di Francesca Archibugi, 1993), a me è sembrato nudo, quasi indifeso nel suo studio del quale chiude accuratamente a chiave una fragile porta a vetri dopo ogni seduta.
Questa misteriosa psicoanalisi che “solo chi ha provato può conoscere”, diventa un oggetto meno oscuro. Anche tra noi terapeuti ci si dice sempre: “dobbiamo mostrare davvero quello che diciamo e facciamo!”. In treatment, seppur con la fiction, lo realizza. Onorario compreso…
Senza mai dimenticarci che è in primo luogo uno sceneggiato che parla della vita di un terapeuta e dei suoi pazienti, e, solo di conseguenza, parla di psicoterapia.
Giovanni, secondo il mio stile e il mio modo di essere uno psicoanalista, commette degli “errori”. Non dà la mano ai pazienti quando li saluta; passa al tu, involontariamente prima e consapevolmente poi, solo perché Sara glielo chiede, non si accorge del tipo di transfert che lei ha sviluppato, non comprende alcune comunicazioni, forse fatica ad accedere ai piani più profondi; sembra spaventato con Dario, al quale lancia una sfida; gestisce a fatica la contro aggressività con Lea e Pietro ... In realtà, chi di noi non commette mai errori? Non vedo pietre volare…
D’altra parte Giovanni è anche un analista molto attento, ascolta con pazienza, cerca di sviluppare e stimolare la capacità di pensare dei suoi pazienti, partecipa ai loro racconti, si mette in gioco, coltiva il dubbio e la riflessione. Sembra davvero ben rappresentare “due persone che parlano in una stanza”. A volte, poi, parla più con i gesti che con le parole, come quando porge la coperta a Sara che ha freddo (“L’elogio della stufetta”…), sorride con Alice, trova abilmente il modo di “prenderla”, le procura una cannuccia per dissetarsi. Non tutti, e non sempre, sono capaci di gesti e di comunicazioni di questo tipo e al momento giusto.
Certamente è anche un semplice essere umano, a volte in difficoltà, in un momento di crisi. A tratti è pure difficile aiutarlo come ci mostra bene il suo rapporto conflittuale con Anna, la sua supervisore/terapeuta. Aspetto che consente di capire maggiormente la complessità di una terapia.
Una domanda per tutti: da quale lato della scrivania è più facile stare? Su quale delle due poltrone?