Il brano racconta come sia difficile oggi raccontare i propri malesseri senza sentirsi fuori luogo
IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA
Ho scritto Pensieri Scomodi quando mi sono resa conto che il problema, oggi, non è soltanto stare male. È riuscire a dirlo senza sentirsi fuori luogo, scomodi, esagerati. Viviamo in un tempo in cui tutti pretendono spiegazioni chiare, immediate, ma ci sono emozioni che non hanno un linguaggio pronto, né un formato da seguire. Io, per prima, non sempre so come nominarle. Non credo che la fragilità sia diventata improvvisamente un tema culturale. È che oggi si vede di più, ma non si dice quasi mai davvero come si sta. Ci si espone solo quando si è certi di poter essere filtrati, compresi, “letti” nel modo giusto. Io non volevo fare questo: non volevo un brano che proteggesse chi lo ascolta da ciò che prova. Ho preferito restare in quella parte della mente in cui il pensiero arriva, si ferma, batte contro qualcosa e rimane in bilico. Non per una scelta estetica, ma perché è un meccanismo reale, quotidiano, condiviso più di quanto si ammetta.
Per questo ho deciso di interrompere la voce, di lasciare che fosse il violoncello a finire la frase. Quel vuoto dentro la canzone non è una forma di esitazione: è proprio una mia volontà. È lo spazio che lascio a chi non trova le parole e teme di disturbare anche solo rispondendo “non sto bene” al classico “Come stai?”. Il violoncello non riempie un vuoto: gli dà forma. Nel video, diretto da Federica Di Pasquale, ho mantenuto la stessa coerenza: niente recitazione, niente immagini consolatorie. Solo io, e quel silenzio che, in certi momenti, pesa più di qualsiasi monologo. Un silenzio che è sempre un territorio delicato, dove l’intimità non chiede approvazione né spettacolarizzazione. È un invito a restare presenti senza riempire tutto, a non correre verso un senso obbligatorio.
Non ci sono lacrime né spiegazioni, perché non volevo “interpretare” un sentimento: volevo lasciarlo accadere. La camera resta ferma, l'inquadratura non addolcisce. Ho preferito reggere lo sguardo e poi abbassarlo, senza bisogno di dire tutto. Per questo non ho semplificato, né musicalmente né visivamente. Viviamo in un contesto che chiede velocità, risoluzioni immediate, frasi che tornino pulite e comprensibili alla prima lettura. Io ho scelto il contrario. Un ritmo che respira, si ferma, si ritrae. Non per creare distanza tra me e chi mi ascolta, anzi: l’ho fatto proprio per dare dignità a tutti coloro che, quando provano a parlare, non trovano un finale. Rendere udibile ciò che resta interrotto, è stato il mio modo di riconoscere chi vive così ogni giorno.