Dagmar’s Collective, l'album Simmetry è accompagnato da una playlist

Musica

Symmetry è il nuovo disco di Dagmar’s Collective, super formazione attiva dal 2013 e capitanata da Dagmar Segbers, cantante e cantautrice tedesco-olandese che ha scelto l’Italia come sua casa artistica. Al suo fianco Michele Fazio, Massimiliano Laganà, Sandro De Bellis ed Emilio Fogli. L'artista, attualmente in Giappone ci racconta il suo progetto attraverso dieci canzoni per lei iconiche

Ella Fitzgerald – “Bill Bailey, Won’t You Please Come Home”

Ella è la mia cantante preferita, e non potrei iniziare con nessun’altra. Ho scelto questo brano perché racchiude tutta la sua genialità: l’eleganza, la sensualità, la perfezione vocale e — al tempo stesso — quel suo lato giocoso e imprevedibile.

In questo pezzo, mentre la ascolti muoversi con disinvoltura tra swing e improvvisazione, a un certo punto cambia registro e imita una voce maschile, profonda, quasi rauca. È un momento meraviglioso che racconta tutta la sua straordinaria personalità e la sua capacità di interpretare con ironia e libertà.

 

Billie Holiday – “Good Morning Heartache”

Ho scelto “Good Morning Heartache” perché è una canzone che sembra scritta

direttamente sul cuore. Dentro ci sono dolcezza, consapevolezza e un senso poetico di resa, che mi fa pensare al mal de vivre di Baudelaire. Cantata da Billie — una donna che ha conosciuto la sofferenza e gli abusi — questo brano diventa un dialogo intimo con la propria ombra. La sua voce fragile e potente trasforma il dolore in arte. È una lezione di verità: a volte l’unico modo per guarire è accettare ciò che si prova e dargli un suono.

 

Etta James – “At Last”

Spesso “At Last” viene considerata solo una canzone d’amore, ma nel caso di Etta James diventa qualcosa di più profondo: un grido di libertà, un respiro dopo una lunga apnea. Etta ha avuto una vita difficile, segnata da dipendenze e solitudine. Figlia di una madre adolescente di soli quattordici anni e di padre sconosciuto, ha trovato nella musica la sua salvezza. Quando canta “At Last, my love has come along”, non parla solo di amore romantico, ma di pace interiore, di riscatto. Mi ci riconosco un po’: anch’io ho conosciuto mio padre solo più tardi, e forse per questo questa canzone mi tocca così profondamente. In Etta sento la forza di chi trasforma la sofferenza in bellezza.

 

Norah Jones – “Don’t Know Why”
Ricordo perfettamente la prima volta che ho ascoltato questo brano: durante un intervento maxillo-facciale in anestesia locale. Il medico mi aveva chiesto di portare della musica e, pochi giorni prima, avevo comprato l’album “Come Away With Me” di Norah Jones. Lascio all’immaginazione la scena: io, sotto una lampada chirurgica, mentre la voce dolce e magnetica di Norah cercava di distrarmi dal resto. Da allora, ogni volta che ascolto “Don’t Know Why”, mi torna quella sensazione di calma in mezzo al caos. Norah è una cantante che mi ha influenzato tantissimo. La sua voce è semplice ma densa di emozione. Figlia del leggendario Ravi Shankar, porta nella sua musica una verità sussurrata, una delicatezza che arriva dritta al cuore.

 

Stacey Kent – “Ces petits riens” (Serge Gainsbourg)

Stacey Kent è una cantante che ammiro profondamente. Mi ricorda un po’ Norah Jones per la sua delicatezza: non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. La sua forza sta proprio lì, in quella dolcezza quasi timida che diventa il suo tratto più affascinante. La chanson “Ces petits riens” di Serge Gainsbourg è un gioiello di grazia e sensibilità. Scritta nel 1965 per l’album Percussions e ispirata a un balletto di Mozart, è una canzone che celebra le piccole cose della vita e dell’amore. La versione di Stacey Kent è, per me, una delle più eleganti e sincere. Con la sua voce sottile e avvolgente, riesce a restituire alla canzone un senso di pace e gratitudine. “Ces

petits riens” è un invito a rallentare, respirare e ritrovare bellezza anche nella semplicità.

Diana Krall – “The Look of Love”

Ricordo che ascoltai “The Look of Love” e l’intero album omonimo in loop per almeno tre mesi, durante un periodo in cui facevo un lavoro casuale da studentessa in Germania. Ogni giorno prendevo il treno da Münster, dove studiavo, fino alla zona della Ruhr, e la voce di Diana Krall mi accompagnava per tutto il viaggio. C’era qualcosa nel suo modo di cantare e di suonare il piano che riusciva a trasformare

quelle ore in un piccolo rituale di bellezza. La sua eleganza e il suo equilibrio mi fecero

entrare in un mondo fatto di grazia e musicalità. Quell’album è rimasto un punto di riferimento: la dimostrazione che si può essere sofisticati senza essere distanti, intensi senza essere drammatici.

 

Joni Mitchell – “Both Sides Now”

Joni è l’essenza dell’introspezione. È una cantautrice che ha fatto del cambiamento la sua casa, attraversando la vita con curiosità, vulnerabilità e una forza disarmante.

Ho reinterpretato un suo brano (Coyote) nel mio primo album dei Dagmar’s Collective, “Different Wor(L)ds”, perché sentivo quella stessa urgenza di libertà e di verità. Ogni volta che ascolto “Both Sides Now”, soprattutto nella sua straordinaria versione orchestrale dal vivo — quella che Joni registrò nel 2000 con Vince Mendoza e la London Symphony Orchestra — mi sento letteralmente sollevata da terra. In quella performance la sua voce, ormai segnata dal tempo, si è fatta più profonda, più

vissuta, e le parole della canzone acquistano un senso completamente nuovo. È come se Joni avesse finalmente attraversato entrambe le facce della vita di cui canta: l’innocenza e la consapevolezza, la luce e l’ombra. È un masterpiece, come direbbero gli anglosassoni. Per me Joni è e rimarrà sempre un punto di riferimento: una donna libera, forte, immensa.

 

Nina Simone – “My Baby Just Cares for Me”

Nina per me è — e rimarrà per sempre — un genio. Avrebbe voluto diventare una pianista di musica classica, ma quando scoprì di essere stata rifiutata dal Curtis Institute of Music di Philadelphia, probabilmente a causa del colore della sua pelle, qualcosa in lei cambiò per sempre. Quella ferita si trasformò in rabbia, ma anche in determinazione. Cominciò a suonare nei night club di Atlantic City per pochi dollari, la “musica del diavolo”, come la chiamavano i suoi genitori, soprattutto sua madre, molto religiosa. Per non farsi riconoscere, decise di cambiare nome e nacque Nina Simone. Quel destino — il dover rinunciare alla carriera di pianista classica e reinventarsi nel jazz — si sente chiaramente in questa versione di “My Baby Just Cares for Me”. Nel suo modo di suonare, nelle armonie e nel suo solo, si percepisce tutta l’influenza della musica classica: rigore, precisione, eleganza. Eppure Nina riesce a trasformare quella ferita iniziale in qualcosa di nuovo, unico e più grande. Questa canzone è la perfetta sintesi della sua genialità: un sorriso che nasce dal dolore,

una leggerezza piena di profondità.

 

Sarah Gazarek – “And So It Goes” (Billy Joel)

Ho scelto questo brano perché lo considero di una bellezza infinita. È una canzone scritta da Billy Joel, ma nella versione di Sarah Gazarek assume una dimensione completamente diversa. Nella sua interpretazione diventa una dichiarazione d’amore delicata e struggente, un dialogo tra vulnerabilità e accettazione. Sarah riesce a trasformare ogni parola in un soffio, ogni pausa in un’emozione sospesa. Joel scrisse “And So It Goes” come una confessione, una riflessione sull’amore che resiste anche quando non è ricambiato. Nella voce limpida e intima di Sarah, la canzone diventa un inno alla delicatezza e al coraggio di lasciarsi toccare. È una versione che tocca corde profonde: non promette un lieto fine, ma celebra la bellezza dell’essere umani, nel bene e nel dolore. 

Dagmar’s Collective – “Slave to the Rhythm”

Concludo con un brano del nostro nuovo album “Symmetry”: la nostra reinterpretazione di “Slave to the Rhythm” di Grace Jones. È il mio omaggio a una donna potente, libera e visionaria. Con Michele Fazio, Emilio Foglio, Massimiliano Laganà e Sandro De Bellis abbiamo voluto spogliare il brano dai suoi elementi elettronici e riportarlo all’essenza: strumenti acustici, respiro, ritmo e voce. “Slave to the Rhythm” per me è un inno alla libertà e all’equilibrio, due cose che cerco costantemente, nella musica e nella vita.

Spettacolo: Per te