Micah P. Hinson, l'album The Tomorrow Man: "Canto la speranza e il disincanto di oggi"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

È un disco che lascia alle spalle il folk rock tragico e abbraccia con decisione la malinconia intensa del crooning, portando la voce al centro della narrazione emotiva. L'INTERVISTA

Dopo anni di trasformazioni interiori e cambiamenti artistici, Micah P. Hinson torna con The Tomorrow Man (Ponderosa Music Records). Un progetto che segna una evoluzione radicale nella sua lunga carriera: un disco che lascia alle spalle il folk rock tragico e abbraccia con decisione la malinconia intensa del crooning, portando la voce al centro della narrazione emotiva. The Tomorrow Man è il racconto sincero di un uomo che si è trovato a fare i conti con i propri limiti, le proprie scelte e il proprio passato. Il disco è un viaggio nel cuore di un’America interiore, tra dolore e redenzione, con sonorità orchestrali curate dall’ensemble di Benevento diretto da Raffaele Tiseo e la produzione di Alberto "Asso" Stefana, che dà corpo a un suono viscerale, stratificato ma mai patinato.The Tomorrow Man non è un’opera di consolazione, ma una presa di coscienza: non cerca un lieto fine ma la verità. Una verità cruda, vissuta, che si fa canzone per chi ha il coraggio diguardarsi allo specchio. Ogni brano si fa specchio di una lotta quotidiana tra speranza e disincanto.

Micah, partiamo dalla storia di The Tomorrow Man: che storia ha? Come nasce?

È una grande domanda. Credo mi sia servita una vita intera per arrivare al punto di poter sviscerare con forte senso della realtà The Tomorrow Man. Confluiscono dentro di lui tanti elementi: l'essere Chickasaw, l'essere americano, l'essere cresciuto tra il Tennessee e il Texas e poi tutto quel parlare di Dio e di Gesù Cristo e qui mi fermo. L’uomo di domani è il mio tentativo di capire le regole che ci sono state imposte nella vita: come e se riconoscerle, metterle in discussione, capire se davvero funzionano per il singolo individuo.

 

Il titolo, se pensiamo a quello che accade nel mondo, appare distopico, potrebbe essere il titolo di un film di David Cronemberg. Come immagini l'uomo del domani?

Spero che assomigli un po’ a me che sono un uomo che prova a guardare la realtà in modo diverso. So che suona strano dirlo ma credo che considerando dove sono arrivato oggi sto solo cercando di mettere in discussione il sistema e di trovare un modo migliore di fare le cose perché, ed è davanti agli occhi di tutti, quello che abbiamo fatto finora non ha funzionato. Non per noi, non per l’umanità. Sono sicuro che certi pensieri la gente li ripete da migliaia di anni, ma oggi viviamo in una società di robot e siamo consapevoli di molte più cose di un tempo, quando i giornali portavano le notizie del giorno prima e il postino consegnava le lettere dopo giorni. Eppure proprio questi strumenti, ovvero i telefoni e i dispositivi che possediamo e per i cui servigi paghiamo, sono il nostro incubo distopico. Li compriamo, li alimentiamo, e loro ci nutrono con l’incubo medesimo. È così ma è assurdo.

 

Hai scelto un cambio anche dal punto di vista stilistico, dopo il periodo folk sei approdato al crooning, un genere nato negli anni venti del secolo scorso con l'avvento del microfono: cosa ti ha spinto verso un fraseggio swing con contaminazioni jazz e sonorità da night club? Quanti microfoni hai usato?

Ho iniziato a usare il microfono da crooner perché non mi piaceva la forma di quello normale. E forse anche perché era qualcosa dietro cui potevo nascondermi. Le persone che vedevo usare quel microfono mi ispiravano rispetto. Sembravano prendere sul serio quello che facevano. Forse, quando ho iniziato a usarlo, una parte di me voleva proprio e solo imparare a prendere più sul serio se stesso.

 

Le voci crooning sono sporche, oscillando tra il cry e lo sway (tremolio voce): è il tuo modo di raccontare un mondo e una quotidianità che non è in sintonia con i tuoi ideali di essere umano?

A un certo punto non volevo più essere ricordato come il ragazzo triste chiuso in una stanza. Le mie relazioni erano disastri e non volevo restare quel tipo emo-melinconico. Quando ho fatto questo disco non pensavo di essere un crooner o di cantare in un modo particolare. È successo naturalmente e ho compreso che quel ragazzo triste non mi serviva più.

 

Cosa ti ha allontanato dalla Fede al punto di scrivere Take It Slow, Think of Me o I Don’t Know God? Oggi ti definiresti ateo o agnostico?

Quando sento o leggo le storie di Gesù nella Bibbia non so se posso definirmi agnostico. So solo che i principi con i quali sono cresciuto, quelli che avrebbero dovuto darmi solidità morale ed etica, non hanno più senso. Parlare di Dio non è una cosa da poco. In Texas la gente vive e muore per Dio e per le proprie convinzioni. Io ho iniziato a capire che quello che mi era stato insegnato spesso serviva allo scopo opposto: ci dicevano che l’uomo era al vertice e che le donne dovevano vestirsi e comportarsi in un certo modo per non tentare gli uomini e io dico che questa è cultura dello stupro. Ti insegnano a essere una brava persona ma in realtà stanno insegnando agli uomini a fare ciò che vogliono con le donne. Per me quindi non si tratta di credere o non credere in Dio è che tutte quelle idee con le quali siamo cresciuti sono spazzatura.

 

Oh Sleepyhead è una canzone di fragilità, una canzone dolente specchio di un momento difficile della tua vita. L'Orchestra di Benevento porta un tocco di leggerezza alle tue parole: ti chiedo quanto è stato difficile mettersi così a nudo e se il ritmo bandistico rappresenta la speranza?

Non è difficile per me esprimermi. Quando scrivo canzoni in primis parlo a me stesso. È vero poi che Oh Sleepyhead contiene molto dolore: è una canzone molto specifica, parla di grandi cambiamenti nella mia vita e di chi ha sofferto per via di quei cambiamenti. Ma per me è anche una canzone piena di speranza. La canto a mia figlia quando torno in Texas: è qualcosa che ci tiene uniti. Se guardi il video lo capisci. È la canzone più piena di speranza che io abbia mai scritto. Molti brani di questo nuovo disco lo sono, rispetto ai miei dischi passati, che erano molto più cupi e disperati.

 

Commentando Oh Sleepyhead hai detto che il cambiamento ha un prezzo e la libertà delle conseguenze: ti senti in debito o in credito con la vita?

Probabilmente entrambi. Ci sono persone a cui devo qualcosa e persone che devono qualcosa a me. Se riesci a mantenere l’equilibrio tra le due situazioni, forse è quello il luogo dove trovi trovi un po’ di pace.

 

Cosa è rimasto del Micah di Ignore The Day? Quello che si sentiva un fantasma e stava cadendo nella trappola dell'American Dream?

Lui sarà sempre qui. Le cose che hai imparato e quelle che hai visto nella vita non puoi cancellarle. Ma puoi accogliere altre cose, altre idee. Sarò sempre quella persona che ha provato a non seguire il sogno americano. Ma la famiglia, le persone che amo, non possono cancellare il passato, possono però indicarmi una direzione migliore. Quel vecchio Micah resterà sempre con me, come un promemoria di ciò che non voglio essere. E del mondo che non voglio vedere.

 

Mothers and Daughters pone una domanda esistenziale che ha caratterizzato tutto le epoche: che cosa è l'amore. Se non una risposta, hai almeno una idea di cosa sia?

È una canzone ingannevole, in realtà parla dell’opposto di ciò che sembra. Ho avuto discussioni con mia moglie su questo brano. Per me è una canzone che usa la parola amore nel modo più egoista e autoindulgente possibile, credo che molte persone vivano l'amore proprio con queste modalità. È una canzone cattiva, in un certo senso. Quando dico “amo tua madre, tuo padre, i tuoi figli, le tue figlie” non importa chi siano quelle persone; e quando aggiungo "è tutto lo stesso per me" quella è una frase davvero cupa.

 

Secondo me questo è un disco di domande più che di risposte... il punto interrogativo è uno dei drammi della nostra epoca?

Trovare una risposta è impossibile, ed è una delle cose più frustranti della vita. Non troveremo mai la verità. Possiamo girarci intorno, avvicinarci il più possibile, ma non riusciremo ad afferrarla. Forse, quando moriamo, la nostra anima riesce finalmente a vedere come si incastrano i pezzi del puzzle. Ma è solo una speranza, quella stessa speranza che abbiamo quando cerchiamo la verità mentre siamo vivi.

 

"We don’t need to be so sad. We don’t need to be so mad": è il mantra che ti ripeti ogni mattina quando suona la sveglia?

No ma forse dovrebbe esserlo. Hai ragione. Ci sono molte cose per cui potrei essere triste o arrabbiato ed è facile lasciarsene divorare. Nella mia vita ho dovuto costruire delle stanze nella mia mente, luoghi dove mettere la tristezza e la rabbia e stare attendo ad andarci solo ogni tanto. Perché se le porti con te sempre, sei condannato.

 

Cosa puoi dirmi dei concerti che porterai in Italia?

Sul palco saremo io, Alessandro "Asso" Stefana e Paolo Mongardi. Abbiamo fatto qualche giorno di prove recentemente e ne faremo ancora per capire come tradurre il disco in una formazione a tre essendo un album complesso. Ci saranno i brani nuovi, alcuni da I Lie to You e altri tre o quattro pezzi vecchi. Mi piace sempre rielaborarli un po'. Quest’anno è il ventesimo anniversario del mio primo disco Gospel Progress e, onestamente, lo ho sempre odiato. Mi sono rifiutato di suonarlo per anni. Oggi, quando riprendo quelle canzoni, mi sento come un adolescente che rilegge i propri diari. È imbarazzante ma forse fa parte del crescere.
 

LE DATE ITALIANE
16 novembre – Fidenza | Barezzi Festival 
18 novembre – Milano | Santeria Toscana 31 
19 novembre – Roma | MONK 
21 novembre – Ravenna | Transmissions Festival 
22 novembre – Torino | sPAZIO 211  

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