La canzone racconta di due genitori che non riescono a separarsi fino alla fine, di una famiglia che continua a stare insieme nonostante i dolori
IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA
Il video di Lasciamo papà è stato ideato e realizzato da Francesco Imperato durante la festa dei diciotto anni di mio cugino. La festa in questione porta con sé le caratteristiche tipiche di una festa al Sud: molto lunga, ambiziosa, una sorta di rituale che vuole sottolineare il passaggio di mio cugino da ragazzino a uomo adulto. Francesco ha avuto l’idea di filmare me e mia madre durante la festa, riprendendoci nei momenti di divertimento ma anche di noia e intimità, che contrastano molto con il ritmo della festa, sempre esplosivo e pieno di sorprese, luci, persone che festeggiano e ospiti d’eccezione.
Lasciamo papà è una canzone che porta con sé una ferita profonda: quella di due genitori che non riescono a separarsi fino alla fine, di una famiglia che continua a stare insieme nonostante i dolori. È una ferita con cui molti figli si trovano a fare i conti per tutta la vita. Il video descrive perfettamente questa sensazione: ogni giorno passiamo accanto a milioni di persone senza mai sapere quale dolore si portino dietro, eppure le vediamo vivere, camminare, esistere, divertirsi. Questo rende tutto più emozionante. Nessuno ha recitato in questo videoclip. Francesco è stato un infiltrato pazzesco: dopo un po’ nessuno faceva più caso alla sua presenza, ed è per questo che il videoclip ha preso una piega quasi documentaristica, linea già intrapresa nei contenuti precedenti di Agente!. Questa scelta mi rappresenta molto: credo che con un approccio documentaristico la mia storia e le mie canzoni arrivino in maniera più diretta, crude e intatte, così come sono. È lo stesso che cerco di fare nelle mie canzoni con le parole.
Non nego di aver avuto momenti di esitazione prima di pubblicare queste immagini, perché è un po’ come avere la sensazione di aprire la porta di casa a degli sconosciuti. Ma voglio credere e sperare che tra quegli sconosciuti ci siano persone che si sentano rappresentate, comprese, accolte e meno sole. La porta di casa si apre davvero, perché il video è diviso in due parti: una prima, pubblica, e uno switch ben preciso che cambia scenario e porta la storia in una dimensione casalinga, dove i vestiti sono differenti e anche il mood lo è. Per me è molto poetico quel momento, perché è quasi scientifico osservare come i nostri corpi e il nostro stato d’animo cambino in base allo spazio in cui ci troviamo e alle persone intorno, a seconda che ci sia musica o meno. Anche il rapporto con mia madre è molto diverso: nella prima parte c’è quasi una manifestazione d’amore più esplicita, stimolata dall’atmosfera della festa; nella seconda parte, invece, la dimensione casalinga lascia più spazio a frizioni, o più semplicemente a momenti di solitudine, serietà, vita quotidiana. I miei genitori per me sono stati dei profeti, ma anche delle persone da cui mi sono dovuta allontanare per ritrovarmi. In queste immagini tutto diventa più chiaro: mi ha emozionata vedermi figlia, ed è stato un po’ come capire qualcosa di più anche di me stessa, grazie a questo lavoro.