Addio Fausto Amodei, papà dei cantautori politici "compagno cittadino fratello partigiano"
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L'artista, il politico, l'intelletuale, il fratello se ne è andato nella sua Torino a 91 anni. Una vita ribelle e coerente, una eredità politica e morale da uomo di "fede" (rossa)
Senza di lui la nostra storia sarebbe più povera. Oggi, che a 91 anni ha lasciato un mondo nel quale ha sempre faticato a riconoscersi ed è andato a portare la sua idea di Sinistra dove, se non altro, troverà chi lo ascolterà, sono in tanti a scoprire Franco Amodei. Forse leggeranno la notizia distrattamente, forse qualche nonno, qualche papà racconterà ai giovani chi è stato quest’uomo nato a Torino nel giugno del 1934 e morto ieri, 18 settembre 2025, nella città sabauda. Il germoglio primigenio della sua vita ha una data e un nome: 1958, Cantacronache. È un gruppo, un movimento da lui fondato con il collaborazionismo di alcune menti illuminate tra cui Michele Straniero, Giorgio De Maria, Margot, Emilio Jona, Sergio Liberovici, che ha come missione disinnescare le melodie amorose imperanti del boom economico attraverso testi politici e cronachistici. Negli anni hanno collaborato a Cantacronache uomini di cultura quali Italo Calvino, Umberto Eco e Franco Fortini. Tra le sue mille attività e iniziative, sempre spinto da quella sana arroganza intellettuale di cui parla proprio Umberto Eco nel Il Nome della Rosa tratteggiando la figura di Guglielmo da Baskerville, tra il 1968 e il 1972 fu deputato con il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
FRANCO AMODEI E I MORTI DI REGGIO EMILIA
Franco Amodei ha composto canzoni che hanno ispirato molti cantautori italiani a partire dalla fine degli anni Sessanta: Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Francesco Guccini e Fabrizio De André (soprattutto quest’ultimo, per accompagnarlo alla scoperta del francese Georges Brassens, che fu un punto di riferimento importante del primo Faber), sono alcuni che qualcosa, anzi più di qualcosa, gli devono. Prima, Amodei critica l'economia capitalistica ne Il Tarlo, una canzone quasi kafkiana, dove un tarlo inizia a divorare un vecchio mobile per saziare la sua ambizione fino a creparci ("si sa com'è la vita: ormai giunto al traguardo, per i trascorsi affanni il nostro tarlo crepò d'infarto. Sulla sua tomba è scritto: per l'ideale nobile di divorarsi tutto quanto un mobile chiaro per i posteri questo tarlo visse e morì"). Poi arrivò La Zolfara, il cui incipit è "otto sono i minatori ammazzati a Gessolungo. Ora piangono, i signori, e gli portano dei fiori". La sua produzione artistica è la declinazione di una storia d'Italia che sui giornali dell'epoca ha necessitato di poco inchiostro. Per i Morti di Reggio Emilia è la sua canzone più simbolica: il 7 luglio 1960, durante una manifestazione sindacale nel centro della città emiliana (ma in tutta Italia ci furono moti di protesta), le forze dell'ordine uccisero cinque civili, tutti operai iscritti al PCI. Si chiamavano, anzi si chiamano, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, diventati per l'eternità i morti di Reggio Emilia. Al governo c'era Fernando Tambroni (Pierangelo Bertoli, nella sua canzone Nicolò, cantava "lavoro senza tregua, tensioni, grida, da Scelba a Tambroni fulmini e tuoni, desiderio di avere una vita migliore, pagata col sangue e mai toccata con mano"). Quella stagione, e comunque, la Rossa Emilia è raccontata nel bellissimo libro di Massimo Zamboni (anche i CCCP furono influenzati da Amodei) La Trionferà, che fa rivivere la storia del Partito Comunista a Cavriago, unico luogo d'Italia dove è ancora esposto il busto di Lenin e dove, se vai al bar, ti chiedono non cosa desideri ma per chi voti. Se in questi giorni, alzando gli occhi al cielo, lo vedremo meno azzurro e più rosso... non è romanticismo: è Fausto Amodei che lo ha tinto con quel colore che lo ha accompagnato per 91 anni.