La cantautrice americana in concerto a Roma con i suoi cinquant'anni di carriera.
Di Bruno Ployer
Cantò all’inaugurazione del Parco della Musica di Roma nel 2002 ed è tornata per esibirsi nella cavea. Non è certo il primo ritorno per Patti Smith, che sembra affezionata a questo complesso progettato da Renzo Piano.
“È sempre bello essere qui, con questi tre edifici che dall’esterno mi sembrano Moby Dick e i suoi figli”, dice la cantautrice, poetessa e intellettuale a tutto tondo.
Le chiediamo un pensiero sul momento attuale della sua America.
“È una questione complicata”, risponde. “Posso dirti in una frase che la cosa più dolorosa è quanto siamo divisi. Sono una umanista e non voglio vedere un Paese diviso. Non sono attratta da un determinato partito o ideologia, sono attratta dal bene. In questo momento siamo estremamente divisi e bisognerà lavorare molto per riportarci insieme.”
Nel camerino, dopo la prova del pomeriggio, riceve visite e il ritratto che un ammiratore ha dipinto per lei. La vanno a trovare un’esponente della Bompiani, che a novembre pubblicherà l’autobiografia Il pane degli angeli, e il gesuita Antonio Spadaro, che le ha donato una chitarra elettrica realizzata dai detenuti del carcere di Secondigliano con i legni delle barche dei migranti.
Finalmente il concerto, che comincia con People Have the Power e termina con Gloria. In mezzo, cinquant’anni di carriera, che prese il via trionfalmente nel 1975 con l’album Horses. Patti Smith ha un intatto e irresistibile magnetismo verso la platea.
Le domandiamo:
Cos’è che fa la differenza tra uno spettacolo dal vivo e un grande spettacolo?
“La gente! Posso rispondere così. La gente. Da parte mia e dei miei musicisti dico sempre: se non siete perfetti e sbagliate, come spesso succede a me, questo non sarà determinante per lo spettacolo. Ciò che conta è comunicare con la gente. Fate capire che state cantando non a loro, ma con loro e per loro.
E poi tu dovresti già sapere la risposta: sei italiano e l’Italia ha la gente migliore.”