Sziget Festival, i Fast Animals and Slow Kids: “Nella musica non c’è un punto di arrivo”

A dieci anni dalla prima esibizione allo Sziget Festival, a Budapest, martedì 6 agosto i Fast Animals and Slow Kids sono tornati sull’isola di Óbuda. Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli hanno portato se stessi davanti a un pubblico internazionale. Li abbiamo intervistati prima del concerto. SZIGET FESTIVAL, FAST ANIMALS AND SLOW KIDS: “Vogliamo far trasparire il senso di autenticità” Martedì 6 agosto si è alzato il sipario sull’edizione 2025 dello Sziget Festival . I colori dell’Italia hanno brillato con il rock dei Fast Animals and Slow Kids. Il quartetto di Perugia ha trascinato il pubblico per sessanta minuti di energia allo stato puro. Abbiamo incontrato il gruppo prima dello show. La nostra intervista. Un ritorno allo Sziget Festival. Abbiamo suonato qui nel 2015, sono passati dieci anni e nel frattempo sono successe tante cose. È bello essere tornati. Dieci anni dopo siete di nuovo qui, come ci si sente? Lo Sziget è un festival molto atipico perché unisce tante arti e molti generi, quindi non sai mai bene chi avrai davanti. È bello arrivare a un concerto con un pubblico che ti conosce, ma allo stesso tempo è entusiasmante cercare di portare nuove persone nel tuo mondo. Un’idea della musica che ricomincia sempre. Non c’è un punto di arrivo, devi essere tu a spingere. Come avete costruito la scaletta? Tendenzialmente noi cerchiamo sempre di creare una scaletta con diversi momenti emotivi: da quelli energici ad altri più morbidi in cui cantare insieme. Ci piace immaginare un concerto come a una serie di maree. E nel caso dello Sziget Festival? Qui abbiamo pochi minuti in cui possiamo far capire chi siamo, quindi dobbiamo spingere fin dall’inizio. Raccontiamo chi sono i Fast Animals and Slow Kids. Noi facciamo rock ’n’ roll, quindi in questo caso abbiamo privilegiato le parti movimentate. Cosa volete far arrivare? Vogliamo che arrivi il nostro senso di purezza. Siamo partiti da ragazzini nella nostra sala prove di Perugia senza conoscenze e con tanti sogni, ora siamo in giro in Europa. Vogliamo far trasparire il senso di autenticità. Cosa direste a quei ragazzi della sala prove? Questa è una domanda molto difficile, in realtà siamo sempre noi quattro. Nella storia delle band, le line up cambiano, mentre noi siamo gli stessi. Un rapporto più che consolidato. Con l’amicizia puoi superare gli scogli, quindi mi complimenterei con quei ragazzi. Direi a quei ragazzi di essere orgogliosi di sé stessi e gli consiglieri di studiare maggiormente la musica e di essere ancora più curiosi. È stato difficile trovare un equilibrio all’interno del gruppo? Siamo stati fortunati, non ci abbiamo lavorato quasi per nulla. Conosciamo i limiti reciproci e siamo tutti diversi in modo complementare. Ci aiutiamo, incoraggiamo e supportiamo a vicenda. Prima ha detto "Noi facciamo rock ’n’ roll". Alcuni vi definiscono alt rock, voi che genere vi attribuireste? È una domanda da un milione di dollari perché il genere è un po’ aleatorio. Per chi ascolta un certo tipo di rock noi siamo pop, ma per altri siamo punk. Direi che la grande famiglia del rock va sempre bene.

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Matteo Rossini