Il due svizzero italiano nel disco esplora territori distopici, desertici ed elettronici abbandonando le piccole stanze in cui si muoveva il suono del precedente disco. Leo Pusterla ed Eleonora Gioveni, con il loro team di arrangiatori, sperimentano la sintesi sonora, il campionamento, la distorsione, le ambientazioni e l’utilizzo di strumenti acustici quali flauti, violoncello, pianoforte e batteria acustica. Ricerca ed esplorazione di territori sonori inusuali sono gli elementi che ritroviamo nel progetto
BEN HOWARD - “Days of Lantana”
Il primo brano che abbiamo scelto, composto dall’autore che senza ombra di dubbio ha più influenzato il nostro percorso musicale (sin dall’inizio) ridefinendo a nostro parere il genere stesso del cantautorato, è tratto dalla più recente pubblicazione del cantautore e polistrumentista britannico Ben Howard “Is It?”. L’intero disco attraversa paesaggi sonori, tematici e lirici sognanti, eterei e allo stesso tempo stridenti. La facilità quasi disarmante con la quale la voce narrante ci invita a seguire le riflessioni - estremamente complesse, di natura esistenziale e dal forte carattere contemplativo - del cantautore si controbilancia ad una ricerca compositiva e sonora nella quale identifichiamo una delle forze motrici più “ribollenti” nel panorama creativo contemporaneo del genere. La necessità creativa, dirompente che sembra trapelare da un disco come questo è seconda solo all’intensità sociale, critica e in fondo anche politica dello sguardo che Howard getta sul mondo; intensità che sembra sempre più difficile trovare in musica (e non solo).
DAUGHTER - “Shallows”
Abbiamo scelto “Shallows” di Elena Tonra, frontman e leader del trio Daughter, tratta dal disco “If You Leave”, un’altra opera dalla quale ci siamo trovati più volte a “rubacchiare”. Siamo infatti convinti del fatto che, all’interno di una corrente che potremmo definire indie-folk/alternative rock sviluppatasi negli ultimi 15-20 anni, questo disco sia davvero una pietra miliare e una gemma unica da riscoprire e conoscere. Sono diversi gli aspetti unici ed inestimabili del lavoro di Elena Torna: la sua voce, sussurrata e allo stesso tempo ruggente; i suoi testi (di un’intimità quasi frastornante e dissociante); il delicato tocco ed intervento dei due musicisti che, storicamente, la accompagnano; l’alchimia malinconica delle scelte armoniche e strutturali sui brani. Tutto ciò costituisce uno spaccato incredibile sulla poetica e la creatività di Torna, una delle cantautrici più particolari e speciali che conosciamo.
LEIF VOLLEBEKK - “Elegy”
Il brano “Elegy”, e più in generale tutta l’opera del cantautore canadese Leif Vollebekk, è contraddistinto prima di ogni altra cosa da una semplicità quasi disarmante: un testo duro, secco, personale, svuotato di ogni possibile sfarzo o abbellimento, appoggiato su un loop di pianoforte che ci accompagna per l’intera durata della canzone, sostenuto unicamente da un groove, essenziale, di batteria e da pochi interventi di arrangiamento (un basso, degli archi). È davvero la storia di Leif, in un certo senso, a cantare e a risuonare negli accordi, pochi ma curati con una minuzia eccezionale e scelti, a parer nostro, con estremo gusto; è la tragedia protagonista, il suono delle dita sui tasti, i respiri e la naturalezza dell’imprecisione di una registrazione in presa diretta non fanno che esaltare le immagini che, come diapositive, ci vengono presentate senza filtri o colori sgargianti. Leif Vollebekk rappresenta un esempio, per noi, di musica integra, coerente, salda sul proprio essere analisi e riflesso del mondo, senza sfarzi o compromessi. Dura.
HOLLY HUMBERSTONE - “Friendly Fire”
Humberstone, 25enne britannica esplosa nel panorama del pop-folk/indie inglese, si distanzia sicuramente dalle precedenti scelte e lo fa per diverse ragioni e in diversi modi. Si tratta, senza dubbio, di musica meno impegnata, politica e cupa di quella presentata nelle prime tre scelte, eppure a volte i colpi di fulmine esistono e con lei è stato per noi (entrambi, conferma Eleonora!) immediato. I testi sono semplici, le immagini universali, la voce ti taglia a metà con la sua dolcezza, un tocco di sensualità e, soprattutto, una malinconia inspiegabile e senza tempo, antica e modernissima. Complice anche la partecipazione dei musicisti del super-gruppo britannico The 1975 (dei quali avremmo anche scelto un brano, in effetti), il suono creato dalla musica di Humberstone ha qualcosa di inestimabile, giovane e sbarazzino ma allo stesso tempo complesso, ricercato e tutto in divenire.
BON IVER - “There’s A Rhythm”
Sicuramente il più famoso ed acclamato tra gli artisti che abbiamo scelto, Bon Iver ha di fatto ridisegnato il panorama musicale del folk, del pop, della musica sperimentale e della musica elettronica. E continua a farlo con una coerenza, un coraggio ed una spontaneità unica. Come per Ben Howard, ci è difficile scegliere un solo brano nel panorama di capolavori che questo artista ha prodotto, quindi ci siamo concentrati sulle uscite più recenti e “There’s a Rhythm”, tratto da “SABLE; FABLE”, ha meno di un anno. Si tratta di un disco sofferto, un addio ad una lunga depressione che ha investito Justin Vernon, compositore e paroliere, che ci restituisce una testimonianza dall’ombra di una delicatezza e complessità disarmante.
SYLVAN ESSO - “Slack Jaw”
Sylvan Esso è un progetto davvero particolare, sperimentale e coraggioso. Questo brano, dalle sonorità distopiche e rassegnate, fa qualcosa di estremamente difficile e delicato: lascia lo spazio, quasi tutto, alle parole e alla narrativa della voce costruendo tuttavia una cornice di suoni e di ambientazioni elettroniche e modulari uniche nel loro genere. L’utilizzo dell’effettistica e la ricerca nel sound design sono impareggiabili, contribuendo in maniera estremamente armonica a creare un suono innovativo e modernissimo.
NOVO AMOR - “Anchor”
Novo Amor, artista che seguiamo fin dagli esordi con grande ammirazione e passione, si è scavato uno spazio tutto suo nel panorama del cantautorato moderno grazie ad un approccio estremamente intelligente e delicato all’arrangiamento acustico. Potremmo quasi definirlo un musicista pittore e paesaggista, capace di catturare delle istantanee e restituirle levigate, smussate e colorate a suo piacimento. L’utilizzo della voce, sicuramente influenzato dalla musica di Justin Vernon, è divenuto un marchio di fabbrica distinguibile nell’opera di Novo Amor, musicista estremamente impegnato, specialmente nella lotta ambientale, il cui sguardo sociale e politico non cerca mai mezze misure, compromessi o scorciatoie.
THE JAPANESE HOUSE - “Clean”
Abbiamo citato in precedenza The 1975, gruppo che ritorna dietro le quinte anche nel caso del processo creativo di The Japanese House, progetto musicale britannico molto misterioso esploso nel 2015 e oggi estremamente apprezzato soprattutto grazie alla sua capacità di “annegare”, in un certo senso, la voce quasi celestiale di Bain in un oceano di sonorità elettroniche e acustiche. La ricerca, anche in questo caso, è uno degli elementi più caratterizzanti nella discografia di The Japanese House; si sentono echeggiare richiami a James Blake così come delicati rimandi al cantautorato classico, in particolare a Joni Mitchell, e la sensazione di “coerenza e conoscenza storica in musica” è preponderante nelle composizioni di Bain. Si percepisce un’attenzione estrema ed un grande rispetto nei confronti di un genere, di un linguaggio: si nota la conoscenza di questo mezzo - la musica - e la necessità di sfondare barriere e attraversare nuovi paesaggi sonori.
BOMBAY BICYCLE CLUB - “Leaving Blues”
Gruppo britannico ormai storico, i BBC hanno attraversato tanti e variegati paesaggi sonori: prima indie rock/alternative distorto, poi sperimentazioni elettroniche, poi musica acustica. E tutto questo con estrema coerenza, sostenuti dalla voce unica, a volte volutamente tremolante, del frontman Jack Steadman. Si tratta di musicisti con un’esperienza live massiccia e un delicato approccio all’arrangiamento e, personalmente, l’album “Flaws” - opera interamente acustica, semplice ed essenziale - rappresenta uno degli apici della produzione del progetto britannico. Come spesso succede, il lavoro di sottrazione risulta prezioso e in “Leaving Blues” non c’è nulla fuori posto, nessun eccesso eppure nessuna mancanza. Una ballata struggente che fa esattamente ciò che dovrebbe: emoziona.
FLORIST - “Thank you”
Concludiamo con il progetto, sicuramente, meno conosciuto, più sperimentale e di difficile accesso. “Thank you”, forse, non è neppure una canzone, si tratta di un’altra forma di espressione che ricorda un lamento lontano, arcaico eppure metallico e moderno. I synth, appositamente modulati a mo’ di elettrocardiogramma e strumentazione medicale, ci restituiscono un'immagine lapidaria, una sorta di testamento da letto di ospedale su cui volteggia leggera la voce, rotta e frastornata, che semplicemente ci ringrazia: ringrazia gli uccelli, il cielo, il passare del tempo, ci saluta e ci dice addio. Un brano struggente che lascia l’amaro in bocca, lo stesso amaro che lasciano gli antidolorifici, la morfina o peggio.