Blonde Redhead e "The Shadow of the Guest", un bonsai in musica dalle solide radici

Un album immaginato, pensato e ricreato È possibile immaginare un album, crearlo e poi farne una nuova versione senza ripetersi e soprattutto senza rendere il secondo una brutta, doppia copia? Sì, ma solo in pochi possono permetterselo. E qui, nello specifico, parliamo della band Blonde Redhead, gruppo italo-giapponese naturalizzato americano, che sì, può trasformare un disco già bellissimo in una versione ancora più bella. Non uno la copia dell’altro, ma due entità distinte, e una più bella dell’altra. Io vedo questa nuova versione come un bonsai, pianta delicata e ben curata. Proprio come questa nuova creazione dei Blonde Redhead. Ne parlo con Simone Pace, a cui racconto di aver visto i set della band al Primavera Sound e al Coachella in due edizioni in anni diversi: entrambi sono stati molto belli, ma ammetto che quello del Primavera aveva una marcia in più. Forse il clima, forse la gente, non so: quello di cui sono certa, però, è che un concerto dei Blonde Redhead vale sempre la pena. Il viaggio, l’attesa, tutto. La genesi di "The Shadow of the Guest" La nostra conversazione poi si sposta subito su The Shadow of the Guest, e chiedo a Simone da dove nasce la necessità di lavorare di nuovo ad un album già fatto, e che era già bellissimo così. Simone mi racconta che l’idea nasce da Kazu, che da tempo voleva rifare qualche brano con un coro di bambini: “Tutto è nato da un’idea, che poi è diventata un album. A dir la verità, però, quando mi chiedono se è uscito il disco nuovo io ancora mi sorprendo, proprio perché io non lo considero qualcosa di nuovo. Abbiamo fatto una nuova versione di un brano con una band Mariachi, e poi pubblicato il risultato. Ora vediamo come verrà accolto...” aggiunge Simone sorridendo. Gli chiedo subito a chi di loro è venuta questa idea, soprattutto perché unire due stili così diversi non deve essere facile: “È colpa mia! Coda è una canzone così strana e particolare: ne abbiamo fatto più versioni. Anche qui, tutto è nato da un’idea, per fare qualcosa più divertente che seriosa. E poi credo che, vista la situazione politica negli Stati Uniti, fare qualcosa in musica legata al Messico, sia molto importante, oggi più che mai. Mi sono detto: facciamo qualcosa. E così è accaduto. Ho un caro amico, Juan, messicano, con cui avevo già lavorato nel passato: Juan mi ha fatto conoscere un produttore a Mexico City che, a sua volta, mi ha presentato una band mariachi. Ci siamo scambiati dei file e della versione finale sono molto soddisfatto: credo sia ben riuscita, fuori dall’ordinario, ma sempre nel nostro stile”. "Spesso è bene non pensare troppo alle cose" Ripartiamo proprio da qui, dall’unione di stili: “La nostra musica trae molta ispirazione dalla cultura italiana e brasiliana, e anche Kazu ama tantissimo entrambe, proprio come me e Amedeo. Tra la nostra melodia e queste due culture c’è già una connessione molto forte, e poi l’arrangiatore ha fatto un ottimo lavoro. Se sono soddisfatto del risultato finale? Moltissimo!” racconta Simone. “Non ci abbiamo pensato troppo: abbiamo fatto questo album, e ne siamo felici. Come dicevo, non lo vedo proprio come qualcosa di nuovo, ma il prodotto finale ci piace molto”, aggiunge Simone. Ecco, forse il tema-chiave è non pensare mai troppo ai progetti che si vogliono fare? Gli chiedo. “Sì, esatto. Io parlo comunque per me, perché ognuno vive le emozioni legate alla musica in maniera diversa. Io baso tutto sull’istinto, e credo che quando si lavora in studio sia fondamentale avere uno spazio di totale libertà. Non è sempre facile, certo. Ma quando ti senti libero e non hai paura di fare errori, le cose escono bene e arrivano anche alle altre persone. Se ci pensi troppo, va ugualmente bene: il processo di pensare ti permette di portare le idee ad un livello superiore. È complicato, ma allo stesso tempo è spontaneo: succede, e basta. Poi si cerca di fare qualcosa non solo per te, ma anche per gli altri: da batterista devo pensare non solo alle armonie, ma anche a come poter includere tutto. Devo essere più generoso con la mia creatività, e si impara a farlo” racconta Simone. Prima di salutarci, gli chiedo se ha un augurio a chi andrà a sentirli dal vivo nei concerti che i Blonde Redhead faranno dal vivo quest’estate, e non solo in Italia: “Più che un augurio, un incoraggiamento ad essere creativi, tutti. E a far parte di una band, perché è più bello suonare insieme ad altre persone, anche in uno studio.”

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