I primi 20 anni di Comcerto, Eric Bagnarelli: "La musica cambia. Le emozioni mai"

Ascoltare, scegliere, selezionare attentamente. Viaggiare, informarsi, ascoltare. Eric Bagnarelli lo fa da sempre, e da vent’anni ancora di più, perché la sua passione è diventata una professione. Sì, perché due decadi fa, ad Ancona, è iniziato il viaggio di Comcerto, realtà creata con l’obiettivo di diffondere musica di qualità, italiana e internazionale. Un percorso che non è sempre stato semplice, ma che è sempre andato avanti, con la convinzione che, alla fine, il duro lavoro e la professionalità pagano sempre. 20 anni di Comcerto, in un mondo musicale in continuo cambiamento Vent’anni sono tanti, tantissimi Eric. Hai visto il mondo della musica cambiare, evolversi. Com’è iniziato questo viaggio? È tutto nato dalla volontà di unire la mia passione per la musica che ascoltavo alla volontà di farla diventare una professione. Nei primi anni dell’attività della Comcerto avevamo un’identità molto precisa: le scelte iniziali cadevano su quella scena inglese e americana indie e molto poco mainstream, musica che io stesso ascoltavo principalmente. Le cose, anno dopo anno, sono migliorate e noi stessi abbiamo fatto strada accanto agli artisti in cui abbiamo creduto sin dall’inizio del nostro percorso. Un esempio concreto di questo ci porta ai Mumford & Sons: ora riempiono i palazzetti, ma al primo concerto organizzato da noi c’erano soltanto duecento persone. Sono tanti gli artisti con cui collaboriamo dagli inizi, e questo ci rende molto orgogliosi. La ricerca degli artisti, dalle riviste al digitale Come trovi, e poi scegli, gli artisti che poi porti in Italia con Comcerto? Negli ultimi anni abbiamo ampliato la struttura, creando dei dipartimenti ad hoc per migliorare ancora di più la ricerca degli artisti. L’aspetto più bello di quello che abbiamo creato con Comcerto è che spesso mi capita di sentire: “Questo è un artista proprio per voi”, e questo mi rende felice perché significa che abbiamo creato un’identità molto precisa. Ovviamente in vent’anni c’è stato più di un cambiamento nella musica globale: dal metodo di fruizione al modo in cui si vive la musica dal vivo. Il settore dei live è cresciuto molto, anche per quanto riguarda l’indotto. A livello di studio, scouting, per chi fa il mio mestiere è tutto cambiato: una volta compravi le riviste inglesi in ritardo, quando arrivavano anche nelle edicole del nostro paese, e poi cercavi di andare a sentire questi artisti nei posti più accessibili. Ora è tutto più immediato: una band che ha appena pubblicato un singolo è già ovunque, e quindi facilmente reperibile. È pur vero che l’avvento del digitale, e di una quantità importante di nuova musica, ha modificato anche la nostra attività di ricerca e di fare filtro tra tutto quello che c’è nel mare magnum della musica. Ora è sempre più importante avere la sensibilità di capire quale via percorrere e con chi. Perché scegliere e credere in un artista Dietro ad un concerto c’è l’analisi, lo studio, ma anche tanti costi di produzione. Cosa porta Comcerto ad investire in un artista che anni dopo esplode o che, magari, non va più così bene? Si parla di più delle cose che vanno bene ma ci sono anche esperimenti che non vanno a buon fine. Come faccio? Non c’è un metodo scientifico: c’è un confronto quotidiano anche tra amici del settore ma non solo, con una percezione simile alla mia ma oggettiva. Ecco: l’oggettività è fondamentale nella scelta, ma se c’è la passione non è sempre così semplice. La stessa Lorde, che per la data a Bologna il 29 novembre ha fatto sold out in meno di un giorno, non ha sempre avuto lo stesso riscontro: certo, i risultati sono stati positivi anche nel passato, ma in spazi e proporzioni diverse. Tutto è cambiato con la sorpresa che Lorde ha fatto al Coachella, salendo sul palco con Charli XCX: lì si è scatenata la corsa al biglietto che ci porta a parlare del tema del momento. Ovvero: guardando a come è cambiata la musica negli anni, una componente che si è aggiunta è proprio quella del momento, dell'hype che si crea per un artista. Nella musica dal vivo, però, vince il cantautore che fidelizza il pubblico. Uno dei casi più importanti? The Lumineers, che lavorano con noi da circa undici anni. Sono diventati famosi con una hit mondiale, senza poi farne altre ma mantenendo molto alto il livello della loro musica, ma hanno fidelizzato la loro audience. E anche oggi, con un disco indipendente, fanno sold out in Italia e nelle arene d’Europa. "Ho creduto nei Fontaines D.C. sin dall'inizio, e sono felice di averlo fatto" C’è un artista su cui hai scommesso sin dall’inizio e di cui sei particolarmente orgoglioso? E che magari inizialmente non ha dato risultati sbalorditivi, ma sul lungo periodo ha fatto la differenza? I Fontaines D.C. non hanno sempre avuto il richiamo che hanno oggi. Ci sono stati momenti difficili perché il loro ritorno in Italia ha combaciato per due volte con le fasi del Covid: la forza è stata trovare soluzioni alternative pur di non annullare i concerti. Una volta avevamo un live ai Magazzini Generali a Milano, tutto esaurito, ma con le disposizioni del nuovo decreto non avremmo mai potuto farlo. Quindi ci siamo spostati all’Alcatraz, abbiamo predisposto le sedie come da decreto, e abbiamo mantenuto la stessa capienza. Il fatto di aver sempre creduto in loro ha creato un legame molto forte tra noi, la band e il management. Certo, la soluzione più semplice sarebbe stata cancellare i concerti, ma abbiamo insistito. Quest’estate, proprio con i Fontaines D.C., faremo trentamila biglietti tra Milano, Bologna e Roma: quindi, non è stato sempre facile, ma averci creduto sempre ha ripagato i nostri sforzi. "La musica cambia, le emozioni no" La musica continuerà a cambiare, certo. Ma cosa non cambierà mai per chi sceglie di fare il tuo lavoro? L’emozione. Ho sempre visto il mio mestiere come l’anello di congiunzione che facilita l’artista ad esprimersi al pubblico che ne fruisce. L’esperienza dal vivo non è replicabile, e questa è la linfa di chi fa questo mestiere ma soprattutto di chi vive la musica live.

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