Ghosting Spotify: perché la musica alternativa cerca una seconda casa

Da quando all'inizio del 2025 è uscito il libro di Liz Pelly “Mood Machine: The Rise of Spotify and the Costs of the Perfect Playlist” è iniziata una forte campagna contro Spotify, la piattaforma più popolare di audio streaming . Il libro della giornalista è una combinazione di reportage, storia e analisi; un'immersione nella storia e nel funzionamento di Spotify, è una guida utile al modo in cui la piattaforma di streaming ha trasformato il mondo della musica. I punti di forza sono le interviste con i dipendenti di Spotify, la citazione dei messaggi interni su Slack e la traduzione in inglese, per la prima volta, di dettagli tratti da alcuni dei primi report svedesi sull'azienda, da cui emerge che Spotify era stata inizialmente concepita come un'agenzia pubblicitaria e l'idea delle playlist un modo per selezionare le canzoni da usare come sottofondo – da qui il titolo “Mood Machine”. Questo libro comunque ha amplificato una protesta da parte di molti musicisti e appassionati di musica, soprattutto indipendenti, nei confronti della piattaforma di streaming più popolare a livello globale, di cui in parte avevamo già parlato qui e qui. Le ragioni contro Spotify Se da una parte non si parla di vero e proprio boicottaggio, dall'altra nelle ultime settimane sono usciti una serie di articoli e newsletter che elencano una serie di motivi per cui vale la pena prendere in considerazione abbandonare o declassare l'account Spotify. Di base, si spiega, le piattaforme di streaming, e in particolare Spotify, hanno trasformato la musica da una forma d'arte di valore in una merce di largo consumo, dove il lavoro degli artisti viene sistematicamente svalutato. I numeri parlano chiaro: gli artisti guadagnano una cifra irrisoria, tra lo 0,003 e lo 0,005 dollari per streaming, il che significa che ci vogliono ben un milione di streaming solo per racimolare al massimo 10.000 dollari . In più Spotify ha implementato una politica in base alla quale i brani con meno di 1.000 ascolti all'anno non guadagnano nulla di nulla. Per molti osservatori la struttura delle royalty non solo è ingiusta, ma anche predatoria in quanto comunica ai musicisti che la musica non ha valore se non viene riconosciuta dall'algoritmo. Sembra quindi che piattaforme come Spotify non trattino le canzoni come contributi culturali ma come contenuti usa e getta e questo per gli artisti indipendenti, per natura non deputati a grandi numeri, è piuttosto penalizzante. Come scritto anche qui in molti accusano Spotify di aver silenziosamente adottato dei sistemi pay-for-play per fare in modo che le canzoni possano essere inseriti nelle playlist. Di fatto poi il sistema di streaming condiviso premia in modo più che proporzionale gli artisti che dominano le classifiche, ma anche i defunti considerato che sia le etichette tradizionali che Spotify promuovono e mettono in prima linea i “greatest hits” . Per non parlare di molte playlist popolate di canzoni provenienti da artisti inesistenti . Gli altri due motivi che vengono posti riguardano dei sospetti investimenti di Spotify verso Hesling un'azienda di intelligenza artificiale che sviluppa tecnologie militari e sistemi utilizzati dalle Forze di Difesa Israeliane nei conflitti in corso a Gaza, spesso con conseguenze devastanti per i civili, e poi la bassa qualità audio proposta da Spotify, rispetto a Tidal o Qobuz che offrono qualità audio lossless e persino streaming ad alta risoluzione . La risposta di Spotify Tutte le risposte che vengono date dai vertici dell'azienda svedese – che nel 2024 ha raggiunto per la prima volta il profitto - riguardano principalmente i soldi che Spotify versa all'industria musicale e che ammontano a quasi 60 miliardi di dollari , di cui oltre 10 miliardi di dollari nel 2024 che è una cifra significativa se confrontata con i profitti dell'azienda: in pratica Spotify distribuisce oltre il 60% del suo fatturato totale. Il CEO Daniel EK afferma che nell'era del CD, solo poche migliaia di artisti avevano la loro musica sugli scaffali dei negozi di dischi. "Lo streaming ha permesso a milioni di persone di condividere facilmente la propria musica a livello globale” asserisce, il che è vero, ma la distribuzione delle royalties è molto sbilanciata verso gli artisti già molto popolari. Alternative a Spotify per la musica alternativa Il giornalista e musicista Andy Cush nella sua pagina Hearing Things fornisce una serie di alternative per la musica indipendente a Spotify. Un esempio lampante è dato da “Diamond Jubilee” di Cindy Lee disponibile solo come download digitale dal sito web personale dell'artista, da uno streaming YouTube caricato dai fan e, infine, su vinile, ed è stato forse l'album indipendente più acclamato del 2024. Molti stanno iniziando ad usare Spotify e lo streaming caricando qui solo i singoli per farsi conoscere, per poi rimandare al proprio sito personale per il download a pagamento, senza intermediari. Ovviamente c'è Bandcamp, ma anche una serie di etichette alternative che vendono solo sul proprio sito, oltre che dischi e cassette ai concerti, senza quindi voler competere con i grandi servizi di streaming, ma per contribuire alla ricostruzione di un'infrastruttura che dia priorità alla musica indipendente e si distacchi significativamente dalla cultura dominante: un ritorno quindi alla rete di fanzine, etichette discografiche e stazioni radio universitarie che hanno alimentato l'esplosione dell'indie-rock degli anni '80 e '90. Se si tratta di musica alternativa, allora è corretto trovare modi alternativi per cercarla e fruirla.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Ghosting Spotify: perché la musica alternativa cerca una seconda casa