L'albero delle voci

“Io sono un noce nel parco Ghiulkhan. | E le foglie, come pesciolini, vibrano dall'alba alla sera, | frusciano come un fazzoletto di seta; prendi, | strappale, o mia cara, e asciuga le tue lacrime”. L’albero delle noci non ha geografia, come la poesia in fondo. E puoi battere quell’albero, quando il frutto è pronto, come puoi accarezzare il cuore e far cadere le parole che si aprono come un mallo che non aspetta altro. L’albero delle noci è lì, davanti a casa Brunori, a San Fili, il paese delle magare, raccontate nei secoli come fattucchiere in grado di far evaporare il malocchio ma anche dedite alla creazione di filtri d’amore. L’amore corre nel vento che spazza il paese cercando canali di verde verso il mare. Il gregge si muove nel recinto, poco lontano: l’albero delle noci è pastore, è guida ferma, il grande ramo indica. È ordine e direzione. Brunori sente il vento. C’è pioggia, mentre scrivo, da quelle parti, dalle mie parti. “Spuntano in noi da giorni umidi e nuvolosi, dalla solitudine, da due parole: le conclusioni, come fossero funghi: eccole arrivare un bel mattino, chissà da dove, e gettano lo sguardo per cercarci. Guai al pensatore che non è il giardiniere, ma soltanto il terreno delle sue piante”. . È questo Dario: innaffia sentimenti, è acqua che non scuote il singolo solco, ma ne segue il percorso. Il percorso di un pezzo di terra, di una strada di campagna tra gli ulivi o di una canzone. La terra è nuda, come le parole. Tutto vive in quelle strofe, vola il pensiero dell’eterno ritorno, figlio di Fiammetta, una figlia che è il Dono, la Sorpresa, l’Incanto, l’Inatteso che illumina, affascina, conquista, trascina. E la caducità delle cose s’arresta, miracolosamente, per pochi minuti lanciati in un tempo infinito. E allora: ”Pensiamo all'estate! Quando metteranno fronde|i nostri boschi: bello sarà camminarvi | mentre nel denso profumo dei nostri giardini| s'impiglierà tra le rame la noce che sta per cadere”. . Pensiamo all’estate della musica, dove c’è una scrittura semplice eppure così efficace. L’albero delle noci sarà l’albero delle voci. . E non avremo dissennate potature, tagli selvaggi. Qualche cicatrice, poche. Nella vita perdiamo foglie, gli autunni del cuore ritornano, adottano un turbinio che avvolge la base della noce - “u nuce” - in dialetto calabrese. Per questo c’è bisogno di avere un punto fisso, un tronco, le sue radici, una melodia che contiene ciò che i sentimenti sanno comporre, i tasti del pianoforte, le corde della chitarra, per dare redenzione ad anni avvizziti, pseudonimi di qualcosa che non tornava. Così lontana l’eco delle periferie del cuore. Ciò che detta tutta la scrittura di Brunori invece è la condizione amorosa, nitida, palpabile, in una proiezione estesa, eppure, eppure lo schermo o semplicemente la voce, registrano sempre un soffio di elegante melanconia. E “la melanconia” sentenzia Cioran “è l’unico sentimento che dà all’uomo il diritto alla maiuscola”. Quasi non potesse farne a meno, quasi non resistesse al desiderio di ribellione di questo avamposto di tristezza fascinosa e dolce, mai disperata, mai lacerante. Ha un ruolo questa tristezza sulla scena dell’uomo, prima che dell’artista, Brunori. È la sua inclinazione interiore verso il verso perfetto. E profumano quei pensieri, che forse in un passato neppure troppo lontano tormentavano speranze e temevano di offendere i sogni. Affidati in tante estati alle onde sulla spiaggia di Guardia Piemontese. Quando la gioventù si sente benissimo e ci vede malissimo, nella naturale confusione di un bagnasciuga di emozioni, dove l’essere è qualcosa e l’amore è ancora qualcosina. C’è tempo per le sue pene. Dal mare alle colline dell’entroterra cosentino è un lancio di fionda. L’albero neppure lo schiva. Segna il regno di Brunori. Finalmente sereno. Si è scrollato di dosso un fardello shakesperiano:”Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni”. È netta oggi la percezione di notti finalmente leggere per Brunori, l’insonnia è sotto chiave, il Re riposa. Così la strofa finale della canzone annuncia il dribbling decisivo nel campo dell’assoluto:”E tutta questa felicità forse la posso sostenere/perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore/E posso navigare sotto una nuova stella polare”. Navigare sotto una nuova stella polare. Traduzione: accarezzare la prossima rotta. Scrivere un nuovo testo con il vento nelle vele, quello che arriva dalle colline intorno a casa, lo stesso che frusta l’albero delle noci. C’è l’interpretazione, perfetta, sul palco di Sanremo, mentre in rete comincia a navigare il videoclip della canzone. Fiammetta nella stanza, il sole di tutti, i pianeti intorno a lei, bimba. E poi il salto nel futuro. Il luogo è lo stesso ma lei è cresciuta, e insieme a lei la nostalgia. Siamo in un’altra stagione della vita, un’altra stazione, e Brunori sembra esserci già stato. C’è già stato. È come se lo raccontasse alla figlia, come se le dicesse che il treno spesso è in ritardo, ma poi arriva, l’attesa si gonfia d’amore, e alla fine la festa è più bella. E le stanze del ricordo si allargano. E il tempo non vacilla. “E negli occhi, nei tuoi occhi/’armonia delle stelle in mezzo al mare/il canto dei bambini/la casa di chi vuol tornare” canta Brunori in “L’oceano” del compianto Paolo Benvegnù, che ha lasciato troppo presto questa vita e noi. C’è finalmente più luce nella scrittura di Brunori, bagliori sempre più ricorrenti che trafiggono il buio, e il pessimismo china il capo. Le emozioni si muovono tra i rami dell’albero delle noci. E insieme a loro sibila la verità. “Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, percepisce la verità. Essi non predicano dottrine e ricette ma predicano, noncuranti del particolare, la legge primordiale della vita”. . Nove anni fa Dario cantava:“La verità/è che ti fa paura/L'idea di scomparire/L'idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà morire/La verità è che non vuoi cambiare/Che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose a cui non credi neanche più”. La memoria è tessuto, i ricordi le sue fibre. Ma ora il tempo è davvero un altro. Una bimba corre in giardino. Ride. A San Fili adesso c’è il sole.

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