Francamente: "Chiediamoci perché ci sono così poche donne nella musica”

A X Factor 2024 ha lasciato il segno. Non solo con la sua voce potente e diversa da ogni altra, ma anche grazie alla sua queerness che ha attraversato gli schermi di milioni di persone. Ha portato lo “schwa” in tv e con ironia ha avvicinato a uno sguardo femminista il suo giudice, Jake La Furia, che ha ringraziato dopo l’eliminazione in semifinale per aver scelto "una donna di 30 anni e lesbica”. Francamente, al secolo Francesca Siano, è una perfetta espressione di cantautorato e attivismo. In lei, laureata in Filosofia e musicista che ha lasciato l’Italia per Berlino, queste due anime si alimentano e non possono esistere una senza l’altra. “Essere su un palco di quella portata è un privilegio che richiama quindi anche delle responsabilità”, dice a Sky TG24. Alla fine del suo percorso televisivo si è discusso molto delle parole che ha pronunciato dal palco della semifinale dove ha denunciato la scarsa rappresentazione delle artiste donne nel mondo dell’industria musicale. “Parole che”, racconta, “sono state travisate e in alcuni casi strumentalizzate”. A un mese da X Factor, Francamente sta iniziando a lavorare al suo album che scriverà in Italia, dopo aver collezionato endorsement notevoli: Manuel Agnelli ha definito la sua Paracadute come l’inedito più bello che lui abbia mai sentito nel talent, mentre la 'cantantessa' Carmen Consoli l’ha citata tra le artiste che per lei fanno “musica bella”, perché “scrive cose umane che non sono frutto di algoritmi”. Francesca, che cosa ti ha insegnato X Factor? Per me è stato una scuola, un luogo di apprendimento sia dal punto di vista musicale che umano. Mi sono trovata a vivere con 31 persone con età tra i 17 e i 31 anni, con storie e gusti musicali diversi, ed è stato prezioso. Lo è stato anche il percorso con il mio giudice, estremamente interessante anche da un punto di vista femminista. E poi far parte di X Factor è stato un enorme privilegio. Il salto tra suonare nei club o in strada a un palco impegnativo come quello di X Factor è enorme. Cosa ti ha aiutato ad affrontare la paura? Ad aiutarmi è stata la condivisione dei miei stati d’animo con gli altri progetti musicali. Tra concorrenti ci siamo sostenuti e sostenute a vicenda, prendendoci cura di paure e ansie che sono inevitabili davanti a un palco così grande. Per me è stata la dimostrazione di come l’atteggiamento comunitario vinca sempre, anche in un programma televisivo. In questa edizione voi concorrenti siete sembrati infatti molto uniti. Siete ancora in contatto? Sì, siamo ancora in contatto e seguiamo i nostri percorsi anche scambiandoci consigli. In questo momento sono a Milano e a breve incontrerò Mimì! Quale tra le tue esibizioni nei live ti ha emozionato di più e quale ti ha messa più alla prova? La presentazione del mio inedito Fucina e il brano con l’orchestra in semifinale. Sono state due occasioni dove ho sentito in modo ancora più forte la responsabilità di essere sul palco. Hai dichiarato che all'inizio del tuo percorso credevi di non essere un progetto adatto al tuo giudice, Jake. Quando hai capito che invece avreste funzionato insieme? L’ho capito agli Home Visit, la prima sera dopo l’arrivo. Mi è stato chiaro che proprio la nostra diversità avrebbe prodotto qualcosa di fecondo e interessante. Ci siamo divertiti molto e lavorare con lui è stato un privilegio. Anche tu hai insegnato qualcosa a lui. Sì, sono molto felice che Jake a un certo punto abbia abbia smesso di usare il maschile sovraesteso: per me è stata una conquista, anche per la risonanza che questo ha avuto fuori. Incontrare persone che mi hanno ringraziato dicendomi di essersi sentiti rappresentati e rappresentate per me è qualcosa di gigante. Esserti esposta ti ha più avvicinato al pubblico o più portato critiche? Credo entrambe le cose. Sicuramente una parte di pubblico ha manifestato disaccordo sia per chi sono, sia per quello che ho detto, però trovo sia necessario fare un discernimento. C’è un pubblico conservatore che si pone in modo negativo e aggressivo verso determinati temi, c’è poi una parte di disaccordo che invece è stata montata da come certi giornali hanno raccontato la vicenda, travisando le mie parole. Ti riferisci alle polemiche dopo il tuo discorso sulla scarsa rappresentazione femminile pronunciate prima del ballottaggio con Mimì… Sì, e ribadisco di non aver mai detto di essere stata eliminata in quanto donna, quelle parole non sono mai uscite dalla mia bocca! Inoltre il mio discorso è avvenuto prima della mia eliminazione proprio perché immaginavo che alcune persone avrebbero potuto pensare che lo avevo fatto soltanto perché ero uscita dalla gara. Noi artiste donne eravamo cinque su 32 concorrenti, di conseguenza il fatto che una sola arrivasse in finale fa parte della legge dei grandi numeri. Ma so bene che X Factor - essendo una manifestazione dell’industria musicale - inevitabilmente riflette un gap che riguarda tutta l’industria musicale. Così anche a Sanremo, nell’edizione 2025, ci saranno 12 donne su 30. Cosa rispondi a chi obietta che le quote rosa non servono e che probabilmente gli uomini meritavano di più? Io rispetto la questione del merito, certamente possono esserci musicisti più bravi di musiciste ma non è questo il punto. Dobbiamo chiederci perché così poche donne rispetto agli uomini si avvicinano alla musica. E non intendo solo sui palchi, ma anche chi sta dietro le quinte. Chi scrive la musica? Chi è il direttore artistico del Festival? È sempre stato un uomo tranne in un solo caso su 75 edizioni. Questo è un dato che non può essere ignorato. Fai parte di un collettivo di musiciste, "Canta fino a dieci". Come è nato? È stato fondato nel 2021 a Torino da me e altre quattro cantautrici. All'inizio eravamo solo un gruppo di amiche che si scambiavano delle confidenze. "Sai che sono salita sul palco e il fonico anziché rivolgersi a me si rivolgeva al chitarrista?", ci raccontavamo. O "mi hanno fatto un commento sulle tette prima di salire sul palco", "mi hanno detto che mi vesto come un uomo e dovrei essere più sensuale". E ci siamo accorte che questi episodi succedevano a tutte. A proposito di misoginia nel mondo della musica, cosa pensi del caso Tony Effe? Non ho capito perché il Comune di Roma abbia chiamato un cantante per poi ritirare l’invito a causa dei suoi testi. Non penso però si sia trattato di censura come in molti hanno gridato, visto che parliamo di un artista che andrà al Festival di Sanremo. Pensi che canzoni con testi misogini dovrebbero essere boicottate, o invece la musica in quanto arte non deve rispettare confini prestabiliti? Credo che come un film una canzone sia arte, bisogna però domandarsi da quale contesto quell’opera artistica viene. Da una parte sono d’accordo con il trapper o la trapper di turno che dicono “non sta a me educare le persone”, dall’altra è importante capire da dove arrivi quel tipo di linguaggio. Le canzoni vengono dalla realtà, quindi dovremmo interrogarci sul mondo misogino che può produrre quel tipo di testi. Alcuni artisti e artiste si sono schierate con Tony Effe e hanno disertato il concerto di Capodanno per solidarietà. Che ne pensi? La domanda che mi sono posta è questa: per che cosa gli artisti e le artiste sono disposti a schierarsi? Questa vicenda ha fatto molto discutere, ma come mai abbiamo sentito un rumore molto più lieve quando per esempio musicisti come Ghali e Dargen D’Amico hanno avuto il coraggio di portare su palchi più grandi il genocidio palestinese? Ci sono due pesi e due misure. Si può fare musica senza essere politici? No, non sono d'accordo con chi dice: “Io faccio solo musica, sul resto non mi espongo”. Secondo me questo è impossibile. Quali progetti ti aspettano in questo nuovo anno? Il 2025 sarà un anno italiano, saluterò per un po’ la mia amata Berlino. Lo farò comunque con estremo piacere perché sarà un anno dedicato alla scrittura di un album per poi poterlo portare sui palchi e far nascere una band che possa creare uno spettacolo live. Parallelamente voglio continuare il mio impegno da attivista. Cosa rappresenta Berlino per la tua musica? Rimane il mio centro creativo, un luogo dove mi impegnerò spesso a tornare. Trovo che questo dialogo tra Italia e Germania sia fondamentale per il mio processo artistico. Mi piace l’idea di tornare dove si sperimenta tanto e dove ho suonato tantissimo per strada. Ed è importante tornare in un contesto in cui mi sento molto piccola. La strada è stata una scuola? Assolutamente sì: una scuola di orizzontalità. La comunità di buskers berlinesi è un luogo dove ci si supporta, c’è uno scambio continuo: anche tra la persona che ha appena iniziato a suonare e quella che fa tournéé mondiali ma torna comunque a suonare per strada. Suonare per strada per una donna è un atto di autodeterminazione? Sì, in quanto donna per me è anche una presa di spazio reale. Anche se poi devi fare i conti con dei limiti: per esempio con il fatto che in alcuni posti, proprio perché sei una ragazza, non puoi andare a suonare. Ci sono stazioni che non possiamo frequentare dopo una certa ora perché abbiamo paura. Se potessi realizzare un sogno e scegliere un posto nel mondo in cui poterti esibire, quale sarebbe? Alexanderplatz, a Berlino.

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Giulia Mengolini