Claudio Baglioni, primo degli 8 concerti all'Arena di Verona: "Stupiamoci d'amore"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Tre ore di concerto emotivamente forti. Al suo fianco, oltre ai musicisti, un corpo di ballo che trasforma ogni canzone in un tableau vivant. IL RACCONTO

Sono otto, che è anche il simbolo dell’infinito, le notti che Claudio Baglioni condividerà in Arena di Verona con la sua gente. Sarà l’ultima occasione per vedere questo artista sul palco dell’anfiteatro scaligero in quanto ha da tempo annunciato il suo ritiro dalle scene e dunque è in corso un farewell tour che terminerà nel 2026. Ieri sera, giovedì 19 settembre, la prima data. Si continua stasera, venerdì 20, e poi il 21, il 22, il 25, il 26, il 27 e il 28 settembre. Come ha ricordato Claudio Baglioni la sua prima volta in Arena è stata cinquanta anni fa. Quando le luci si spengono e la musica si accende, il palco si popola, oltreché dei musicisti, di un ricchissimo corpo di ballo. Al quale va donato un applauso speciale in quanto non sono elementi di una coreografia bensì elementi dello spettacolo, mutevoli e organici a una rappresentazione che va oltre una scaletta e si trasforma in una esperienza. Un altro applauso va alla puntualità: nessun quarto d’ora accademico alle 21.03 la festa comincia e durerà tre ore. L’incipit è E Tu come Stai? e in quel preciso istante ognuno dei presenti va cercare un ricordo che vola nell’aria travestito da “le tue iniziali nel mio cuore”. Si capisce subito che è uno spettacolo che va in profondità, che trasmette una tridimensionalità fisica: “Stupirsi di stupore”, sussurra Baglioni indossando un trench argenteo per cantare Acqua alla Luna in una ambientazione circense con  richiami futuristi, da balletto russo stile Diaghilev. Si entra in un portale che ci conduce verso un tempo che non c’è seppur si vada lungo il Tevere fino a gridare i nostri sogni contro il mondo: è l’essenza di Con tutto l’amore che posso.

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prima volta in Arena di Claudio Baglioni è stata 50 anni fa

Ogni canzone, di questa passeggiata nella nostra anima, ha una sua liturgia. Quante Volte è in bianco e nero, tra Pulp Fiction e Animal House, e come spirito (un po’ meno come ritmo, ovviamente) ha una sfavillante attitudine punk. Ambientazione conventuale, ma quel conventuale come se la suora fosse Laura Antonelli, per Un Po’ di Più. Claudio Baglioni si ferma un istante, osserva l’Arena piena e dice: “Ora bisogna scendere il sentiero per vedere chi eravamo” e subito decollano le prime note de Gli anni più belli: alle sue spalle, sul videowall, piove una polvere di stelle. Piace a Baglioni introdurre le sue canzoni con una frase e alcune hanno una loro magia tipo “saliamo l’ascesa per vedere chi saremo” che porta con sé Domani Mai e il suo finale brulicante di umanità su quel palco enorme che in alcuni momenti, grazie al corpo di ballo esuberante, sembra diventare minuscolo. Fammi Andar Via è “protetta” da uomini che paiono samurai occidentali e che al posto della katana hanno aste luminescenti; alle loro spalle arriva una dea vestita di bianco e la scenografia si fa distopica degna di un racconto di Ray Bradbury: solo la ragazza in bianco è umana! Si balla quando il professor Claudio urla “Verona, 19 settembre 2024 la ricreazione è finita, interrogazione e adesso la pubblicità”. Arriva il momento-nostalgia: “Questo è Il commiato da un amore nato in Arena 50 anni fa. Ero un Romeo giovane, oggi lo sono un po’ meno. I concerti sono un percorso importante, siamo più di 250 persone a lavorare a questo sogno e ogni volta c’è qualcosa da scoprire”.

 

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TUTTI A CASA CON UN VENTO NUOVO TRA LE BRACCIA

L’unica sbavatura della serata è su W l’Inghilterra: quella che è la narrazione di un amore ancillare sfociato in una delusione è raccontato sul palco da uomini in kilt. Anche solo per il titolo della canzone sarebbe stato più giusto vestire i danzatori con abiti più londinesi e non con un indumento che trasuda voglia di indipendenza. Sono tre i medley della serata e ogni canzone che lì viene riassunta Baglioni la introduce con l’allegoria dei cassetti aperti: nel secondo apriamo quello del 1985 che custodisce Amori in Corso e Un Giorno Nuovo o un Nuovo Giorno e quello del 2013 che ospita Con Voi. E’ il momento di mettersi al piano per fare Questo Piccolo Grande Amore: “La prima volta qui è stata 50 anni fa oppure 600 mesi fa. La prima volta in assoluto risale a 60 anni fa in quartiere periferico di Roma: tre gradini per salire sul palco e mai avrei immaginato che andasse a finire così. Sono in un posto privilegiato con un panorama bellissimo. Si immaginano le storie e ognuna andrebbe raccontata ma non è possibile. Ripenso al mio primo grande successo”. E ognuno presente in Arena ripensa a un suo piccolo grande amore. Dodici Note ha un “vestito” sensuale e orientaleggiante e ci accompagna al terzo medley: “Parte dal 1973 un altro giretto nell’armadio: Così vai via. Nel 1977 c’è Solo e nel 1975 Sabato Pomeriggio”. Porta Portese è, per me, il momento magico della serata, è un dripping canoro e scenografico, è pura psichedelia. Io me ne andrei vede le danzatrici in costume, come se l’assenza di un abito volesse simboleggiare una perdita affettiva: intenso il finale con le vestali. Si avvicina la mezzanotte e con lei il momento dei saluti: a spegnere la musica sono E Tu, Strada Facendo e La Vita Adesso“perché non c’è mai la fine a un viaggio anche se il sogno cade”. Ed è quello che la gente si porta casa, un viaggio con un vento nuovo tra le braccia.

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