Setak: "Con l'album Assamanù faccio pace col passato ed entro nell'età adulta"
Musica Credit Martina D'AndreagiovanniIl nuovo album del chitarrista e cantautore abruzzese chiude una trilogia iniziata nel 2019. E ora si prepara a una estate in tour. L'INTERVISTA
Un'immersione emotiva nelle profondità della propria storia personale, tracciata dalle corde di una chitarra che abbraccia i suoni globali e proietta le radici verso il futuro, dall’Abruzzo all’infinito. Assamanù è il nuovo album del chitarrista e cantautore abruzzese Setak, nome d'arte di Nicola Pomponi. Assamanù è il culmine di una trilogia musicale iniziata con il suo acclamato disco di debutto Blusanza nel 2019 e proseguito con Alestalè nel 2021. Un’opera che suggella un percorso interiore che vede ciascun album raccontare le tre fasi più importanti della vita di Setak: infanzia (Blusanza), adolescenza (Alestalè) e infine, oggi, la maturità.
Nicola con Assamanù, che significa in questa maniera, siamo entrati nell’età adulta: come ti ci trovi e in cosa l’album segna un passo avanti nel tuo percorso umano e artistico?
Parlare di età adulta e maturità è sempre un po’ complicato. L’album chiude una trilogia aperta con Blusanza dove ci sono i miei primi 13, 14 anni di vita, poi arriva Alestalé che è mettere un po’ la testa fuori; ora c’è la parte finale di questo percorso anche a livello politico. È l’album della consapevolezza.
Apri l’album con Lu Ride e Lu Piagne che attraverso metafore è un brano esistenzialista tra l’acqua che arriva e non arriva al mare e l’anima da salvare. C’è amarezza nel testo: come nasce? Inoltre quale è la storia che vi troverete in paradiso a suonare?
Nei meandri del mio percorso c’è questa tua interpretazione. L’idea è venuta perché è un po’ come una presa in giro delle credenze con cui sono cresciuto. Nella mia testa mi dico: chi ha detto che suoneremo in paradiso? Magari uno non vuole. Di certo dai rituali di paese dovevo prendere le distanze, la mia terra è permeata da senso di sconfitta, rassegnazione e fatalismo, ora ci rido ma nel periodo della formazione emotiva quelle cose ti entrano sotto pelle e ti spengono entusiasmi più vitali.
La fame e la sete trasmette un senso di aspettativa. Poi disillusa. È una resa o un'apnea prima di risalire?
È un sentimento momentaneo di questa generazione, è il mio brano più politico, parlo dell’evanescenza del mio periodo storico, lo ho registrato da incazzato. La mia generazione è ossessionata dal passato e non ha costruito un futuro originale. Riproponiamo un passato non vissuto ed è un errore. Le aspettative che avevo da piccolo mi fanno dire che erano meglio i sogni della realtà anche se alcuni sogni poi li ho realizzati.
L'Erbe ‘nzì fa pugnale è costruita con immagini di quotidianità, molte delle quali agresti. Dove vanno a finire le nuvole?
In quel caso fanno parte dell’immaginario che mi ero costruito, come se a un certo punto mi abbandonassi alla natura. Passano e non tornano ma segnano un momento ed è un momento rassicurante per non opporsi alla natura. Nasce durante un un temporale in montagna in cui mi sono arreso alla forza della natura.
Di chi ‘ssi lu fije è il brano delle radici: perché hai scelto l’inverno per riaccendere i ricordi?
Nei ricordi dell’infanzia le feste invernali hanno una potenza diversa, sono messe in mezzo al periodo brutto tra scuola e lavoro. Il Natale è sempre stato importante, con certezze come la neve e il rituale della famiglia. Col cambio delle generazioni sono meno certezze, non esistono più i tempi dilatati delle campane e lo stare a casa con la famiglia mentre fuori nevica. Ora mi fa piacere se mi chiedono di chi sono figlio perché ho fatto pace col passato.
Curre Curre è un brano ecumenico, in qualunque luogo è a casa: cosa è per te oggi l’accoglienza?
Fermarsi e osservare il prossimo deve essere un dovere oltre che un atto di bontà. Ci sono troppe persone invisibili che non vediamo e il dolore è evanescente.
Quale è il fiore che hai nel cuore in Assamanù ed è attraverso di lui che si scopre quanto vale la felicità?
Mi concedo il lusso di essere un po’ presuntuoso, dopo avere fatto esperienze e conosciuto gente dico che se fossi in difficoltà vorrei incontrare uno come me.
Chiedo alla Polvere mi ha ricordato Radici di Francesco Guccini: è così che si raccontano le assenze?
In qualche modo sì, in questo caso per me sì. È uno dei pezzi più emotivamente forti, difficile scriverlo perché è la porta della casa di mia nonna che si chiude per sempre. Ho vissuto con lei nell’adolescenza e ci sono entrato solo una volta dopo che è morta.
In Figli della Storia dici che “noi siamo chi ci ha preceduto nel suo procedere incerto”: questa andatura instabile a cosa si appoggia? Mi ricollego poi a Troppe Parole dove parli di rumori che poi se ne andranno come se non dovesse restare nulla.
Qui c’è con me Simone Cristicchi e l’andamento incerto è per la vita difficile di chi ci ha preceduto. In Figli della Storia mi faccio raccontare il passato da un anziano e gli dico che non lo dimenticherò mai. Però facciamo sempre gli stessi errori, pensa alle guerre. In Troppe Parole mi chiedo cosa rimarrà di questo presente così affannoso. Amo contrastare col silenzio il voler farsi sentire, il volere fare più rumore e che tanto poi se ne andrà: oggi sono poche le cose che hanno un peso.
Le ultime tre parole dell’album sono… "sono felice felice": oggi lo sei?
La felicità intesa come spirituale non credo anche se mi piacerebbe raggiungere quella che insegnano i grandi maestri. Mi ritengo mediamente fortunato e sereno ma non ho la felicità che mi piacerebbe avere. Ma ci sto lavorando.
Cosa puoi dirmi di quello che accadrà nelle prossime settimane e del tour?
Ho già fatto date in Europa ed è stato bello vedere che ti seguono anche in posti sperduti. Poi ci sono state due feste a Roma e Chieti: bellissime. Non tutte le date estive saranno con la band di sei elementi, dipenderà dal contesto. E comunque sarà una magia catartica.