La cura è non solo quella degli elementi, ma anche il sapere che si trasmette nei secoli su come favorire quest'alchimia, come permettere alla pianta di vivere, e quindi di nutrirci e farci vivere a nostra volta
IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ESCLUSIVO DELL'ARTISTA
Quando ho fatto sentire Le Cure al regista Giulio Favotto mi ha detto che ha
subito pensato ai semi, alla “cura” come quella che serve per far crescere una
pianta. La terra custodisce il seme come uno scrigno, in attesa che gli elementi e il
tempo possano farlo nascere, “il sole che spinge da dentro” il germoglio, nelle parole
della poetessa Marisa Papa Ruggiero. La cura è non solo quella degli elementi, ma
anche il sapere che si trasmette nei secoli su come favorire quest'alchimia, come
permettere alla pianta di vivere, e quindi di nutrirci e farci vivere a nostra volta. Sul
versante opposto ci sono le cure come le intendiamo nella cultura occidentale, quindi
le medicine, i palliativi, gli antidolorifici, quella varietà colorata, impressionante,
smodata di pillole che attutiscono i dolori, ma spesso ne ignorano le cause.
La malattia nella nostra società è qualcosa da silenziare, non qualcosa da ascoltare per scoprire di più su di noi, su cosa ci fa vivere al meglio e cosa ci uccide lentamente.
Visivamente abbiamo scelto di tradurre questo parallelismo tra semi e pillole in una
danza in stop motion di medicinali che piano piano vengono sostituiti da semi – la
proliferazione dell'industria farmaceutica che si confronta con la biodiversità, le due
facce delle “cure”. Non a caso questa parola nella lingua italiana ha un doppio
significato che in inglese si può tradurre con due parole diverse, “care” e “cure”.
Un'altra suggestione viene dal collegamento della terra, che “cura” i semi, alla
fertilità e alla sessualità. Quello che nella nostra società, per retaggio cattolico, viene
visto come “impuro”, è davvero la sorgente di vita e il mezzo per cui siamo al mondo.
C'è una dicotomia nella nostra cultura tra l'ambito terreno, oscuro e sporco, e quello
celeste, puro e luminoso. Nel video abbiamo scelto di ribaltare questo contrasto e
integrare questi due lati, parlare della terra come qualcosa di luminoso e
paradisiaco. Due mani scavano nel terreno e aprono un solco da cui viene una luce
bianca. In un'altra scena alzo lentamente la gonna per rivelare uno specchio che
riflette la luce e abbaglia, per svanire poi in un fade to white, un mistero che continua
ad essere tale, una visione come in un sogno, terrena e aerea al tempo stesso.
Quest'immagine vuole anche essere un richiamo all'opera Balkan Baroque di Marina
Abramovic, ispirata a riti balcanici della fertilità. Il video è anche ripetitivo, si riavvolge su se stesso e riparte, cambia, e riparte di nuovo, seguendo la canzone che è ossessiva, martellante. Volutamente non c'è una narrazione, non c'è un punto di arrivo, è un fare e rifare, come il processo di germinazione e crescita di una pianta. Una pillola viene fatta ruotare su se stessa fino ad aprirsi, rivelando che dentro ci sono altri semi, come un serpente che si morde la coda. I colori che abbiamo scelto sono colori forti, vividi, presi in prestito da un'estetica punk che, di nuovo, percorre anche la canzone. Tutto il video è stato girato negli studi di Wovo, a cui va un ringraziamento speciale.