Pierpaolo Guerrini, trent'anni di storia e musica nell'album Friends

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Credit Lorenzo Montanelli
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Il disco è un concentrato di composizioni che spaziano tra vari generi musicali con brani strumentali nei quali partecipano amici con i quali il compositore e produttore ha collaborato direttamente e indirettamente nel corso della sua carriera. L'INTERVISTA

Il compositore e produttore Pierpaolo Guerrini (stretto collaboratore, fin dal debutto, di Andrea Bocelli) festeggia gli oltre trent'anni di carriera con un disco, Friends, il primo pubblicato a suo nome, ricco di collaborazioni di altissimo livello internazionale con nomi della caratura di Hauser, Stephan Moccio, Andrea Griminelli, Alessandro Martire, Stefano Cocco Cantini, i CARisMA e la speciale partecipazione di Andrea Bocelli.

 

Pierpaolo partiamo dalla storia di debuttare con un album per i tuoi trent’anni di carriera. Per altro potevi farlo quando il mercato discografico era più florido.
È una cosa vera e mi fa pensare che a volte le cose si fanno spinti dall’entusiasmo. Forse trent’anni fa non c’era a livello di ora e mancavano tutte le informazioni per un album così potente e impreziosito da molte amicizie. Non era maturo all’epoca e poi mancavano tempo e struttura mentale stando sempre in studio. La pandemia mi ha fatto fermare e riflettere, c’è stato l’anniversario dello studio e ho iniziato la scrittura.

Nell’album ci sono tre composizioni senza featuring: perché non aprire l’album con uno di questi brani? Non poteva essere un biglietto da visita più identitario?
Non lo ho voluto perché questa musica mi rappresenta, ho da subito pensato a un album che suonasse bene e con i tempi giusti. Ho identificato una playlist che portasse momenti di riflessione là dove la musica è più profonda.

Riflettendo su Unity Machine, ti chiedo come è lavorare con i synth analogici quando tutto il mondo dell’elettronica va in un’altra direzione? Lo consideri un atto di coraggio?
È un privilegio, tutto quello che è il mondo virtual facilitato dalla ricerca delle forme d’onda resta un mondo dove non si possono avere tanti synth in studio. La differenza per chi fa il mio mestiere c’è: un synth vero non è elettronico, là tutto è messo in atto da professionisti che vanno nella stessa direzione. Tutti possono avere la solita cosa ma l’originale è altro.

Le voci di fine anni Settanta di Andromeda’s Sky come ti sono arrivate? Trasmettono un senso poetico. Quando le hai sentito sei andato diretto su questo brano?
È stato scoprire un qualcosa di eccezionale, è un vecchio nastro arrivatomi dalla mia compagna Justine. Contiene le voci di lei e suo padre che parlano: lei aveva sei anni, lui era un generale militare polacco che aveva la passione di registrare sui nastri analogici, forse un vecchio Grundig. È rimasto immortalato un colloquio, credo una poesia. Subito dopo le note di arpeggio si è magicamente composto un quadro che mi ha dato emozioni.

Intimate sembra un coro polifonico. È, per me, il brano più orchestrale dell’album: lo percepisci così oppure avendo un afflato cinematografico lo vivi più come un accompagnamento a immagini idealizzate da ogni ascoltatore?
È così. C’è questo aspetto, immaginarsi una grande orchestra che amplifica la scena emotiva ci sta. Chiunque può inserirlo dentro di sé perché non è completamente chiuso il brano melodicamente, ognuno può cantare ciò che manca.

Alen possiamo consideralo un prototipo di modernità? Nonostante qualche rimando agli anni Settanta?
Lo è. Volevo un brano più leggero, una dance non spudoratamente dance, con rimandi alle chitarre dei Pink Floyd, chitarre che avvolgessero la struttura di questo beat. Friends è un album eterogeneo perché ho inseguito più la melodia che la formattazione, forse avrò meno stream ma ho creato un album intero, una cosa nuova e diversa. Volevo anche un qualcosa che facesse riflettere su sound, sonorità e arrangiamenti pensando ai brani strumentali che si avvicinano ai temi: qui a differenza delle canzoni ci si può concentrare sulla qualità dei suoni.

Ego è ironico nel suo messaggio neanche troppo subliminale. Mi dà la sensazione di due persone che parlano di se stesse parlandosi sopra per primeggiare.
Affronta la materia dell’ego dei musicisti. Chi ha fatto del suo strumento un’arma virtuosa e così, ma il brano nasce come un gioco in studio con la band che ha creato mille colori.

Tu hai lavorato spesso per Andrea Bocelli. Questa volta è stato il contrario, lui ha lavorato per te in The Fifth Line. Come è stato?
Gli è piaciuta la melodia e ha deciso di eseguirla, aveva tutta la libertà e il tempo per questo recording; in fase finale sono riaffiorati alcuni passaggi del suo mondo. Io mi immaginavo lui a cavallo nelle praterie toscane.

Once and Now è un trekking compositivo in spazi aperti, sembra un brano di formazione popolato da due amici che amano il ricordo ma non conoscono la nostalgia. Lo sguardo è comunque volto sempre al prossimo orizzonte.
È molto simile a ciò che ho provato quando l'ho scritto. Ho pensato alle distanze e alle aperture, ho pensato a un'America che sognavamo nei nostri vent’anni. E c’è all’interno ma c’è anche lo spazio di momenti miei da piccolo quando studiavo il pianoforte: ho riscoperto quella bellezza che poi negli anni cambia.

Friends avrà uno sviluppo dal vivo?
Qualcosa farò ma le cose vanno fatte bene e programmate, servirà uno sforzo maggiore perché ora torno in studio con tanti artisti tra cui Andrea Bocelli. Farò qualche concerto, anche con la grande orchestra di Steven Mercutio. E chissà che non si possa fare una serata con tutti gli ospiti a Lajatico.

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