Mare: "Cerco una maggiore consapevolezza per vincere le paure e l'ansia"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

La giovane cantautrice genovese racconta il suo percorso interiore nell'Ep "Ultramorfosi", un viaggio in quattro angosce dell'essere umano che però concedono spazio alla speranza. L'INTERVISTA

Con la sua voce cristallina e potente, Martina Battaglia, in arte Mare, giovane cantautrice genovese, porta in musica uno dei viaggi più audaci dell’animo umano, quello che deve esorcizzare paure e ansie. Il suo viaggio, o meglio la prima tratta del suo viaggio, è raccontata nell'Ep Ultramorfosi.

Martina partiamo dalla storia di Ultramorfosi: come è nato e il significato del titolo?
L’Ep nasce perché ho sentito un dissidio interiore. Nella vita sono ingegnere, quando ho iniziato gli studi la musica già c’era ma la spinta non era particolarmente forte. Poi ho iniziato ad autoprodurmi e ho scoperto la potenza del suono e l’ingegneria a quel punto mi è servita. Passa il tempo e il dissidio resta forte, comporta scelte in quanto ci si aspetta che un ingegnere sia una persona seria mentre chi fa musica non lo sarebbe, secondo una opinione diffusa. Ora sono a un bivio e col part time me la cavo. Ma resta lo scetticismo di fondo e la frustrazione per non potermi dedicare in toto alla musica. Ultra è parola tecnologica che evidenzia la mia emotività spiccata mentre morfosi è un viaggio in quattro timori esistenziali che però tendono a lasciare uno spiraglio per il cambiamento.
E perché Mare come nome d’arte?
Dal mare sono attratta e spaventata. Ho iniziato a scrivere a 15, 16 anni, andavo al mare d’inverno a Nervi e scrivevo, osservavo questa immensità blu pensando che l’uomo è andato nello spazio ma non ha mai visto cosa c’è in fondo al mare. Noto un parallelo tra una emotività difficile da analizzare e il mare…chissà dentro di noi che mostri ci sono. Poi le origini genovesi aiutano.
Due elementi caratterizzanti della tua musica sono il ricorso intelligente all’elettronica e testi cinematografici, quasi per immagini: sono questi i due poli del tuo immaginario artistico?
Sì. Mi piacerebbe un domani arrivare al cinema con una elettronica non invasiva ma di accompagnamento restando sempre in una chiave pop.
Dopo Meteore non vale più la legge dell’attrazione? O ci stai ripensando?
La vita ha dei piani per noi, spesso resta in sospeso. In quel caso il tono è ironico e disilluso.
Le meteore hanno vita breve ma sono luminose: meglio evitare le collisioni per evitare le bruciature dopo oppure ne vale sempre e comunque la pena?
Ne vale sempre la pena perché vedo i rapporti tra le persone come una collisione in uno spazio. Noi ci modifichiamo per quegli incontri, ma è inevitabile accettare che le persone che oggi ci sono domani non ci siano più. Ho perso amicizie e mi sono chiesta perché…poi mi dico che succede e basta. Vale però la pena di farsi male perché anche quello porta al cambiamento.
Hai sempre appuntamento col destino alle quattro del mattino?
E’ una mia costante. Quel concetto nasce da poesia di Wisława Szymborska. Lei dice che l’anima è spenta alle 4 del mattino. Quello è un orario di passaggio, siamo tra il giorno alla notte. Eppure resta silenzioso e oscuro.
Controluce sembra una invocazione di aiuto: “Ho provato la permanenza nel mio contorno”, scrivi. Amare controluce fa perdere la propria anima?
Sì perché è una spersonalizzazione per qualcosa che non è fatto per noi. Il rischio degli incidenti c’è soprattutto verso se stessi.
“Ma non eri per me”: credi che i fallimenti in amore sia dovuti al fatto che l’idealizzazione dell’altro prevale sull’accettazione dell’altro?
Quando ci piace qualcuno non si hanno informazioni. Io ho idealizzato una persona per quella che era e non la ho capita fino a un punto di rottura arrivato però dopo tanto tempo. Magari non sono destinate.
“Ora ho solo vent’anni” sembra la constatazione di un fallimento emotivo: è così? D’altra parte “fatico io a vederci un futuro” oltre la coltre di buio.
Lo dico in tono dolceamaro; la mia adolescenza non è stata facile nelle relazioni con i miei coetanei e non mi ha dato molto ottimismo. Ora però ho una consapevolezza che sta maturando. Ultramorfosi è passo avanti ma il buio ancora c’è.
Rattoppare ciò che manca potrebbe non essere la giusta cura ma il kintsugi ci insegna che le ferite possono essere riparate con l’oro e diventare arte e poesia.
L’oro dobbiamo essere noi, non cercare in altri la sicurezza perché queste persone potrebbero non esserci più un domani. I problemi li risolviamo da soli perché noi, intesi come io, ci saremo sempre. Nel caso l’oro sono io perché mi aggiusto da sola.
Uno dei prossimi singoli sarà Clessidre che racconta anche lui la paura di vivere, di aprire gli occhi: sulla cover, anche se so che è ancora non definitiva, ci sei tu e il tuo alter ego che vi guardate…cosa vi dite?
Passa questo tempo nel migliore dei modi.
Tutto l’Ep è una fuga da qualcosa o da qualcuno: l’inquietudine è una tua compagna di vita? Ti senti domiciliata in un beautiful maze, in un bellissimo labirinto? Già Giacomo Leopardi parlava del “naufragar m’è dolce in questo mare”.
Con l’inquietudine andiamo a braccetto, ma è anche vero che senza di lei non scriverei. Ho voglia di vivere ma devo per forza confrontarmi con limiti e costrizioni imposti, siamo pur sempre animali sociali, e con la società. E’ un incubo lavorare 40 ore a settimana perdere il contatto con la musica perché non è considerata seria. Il labirinto è un girare senza trovare la giusta strada.
In conclusione possiamo dire che ora sai vivere adesso e non a metà e dunque hai imparato a girare la clessidra?
La clessidra sarà impossibile da girare, il brano nasce per la morte di una cara persona e appena tornata a casa, dopo avere appreso la notizia, le parole si sono srotolate. Miglioro la qualità del mio tempo e vorrei che bestie come l’ansia non interferissero più nel quotidiano.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Oggi esce l’Ep e domani, cioè sabato 30 settembre, suono al GoaBoa. Poi penso a un concerto full band per presentare Ultramorfosi. Inoltre sto partecipando al contest Palchi Belli di Rockit.

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