Kendrick Lamar in concerto a Verona, un sabba lungo poco più di un'ora

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Il rapper di Compton ha entusiasmato l'Arena scaligera. Scenografie minimali e band defilata per non distogliere l'attenzione dall'artista. IL RACCONTO

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La forza delle parole, la forza del ritmo. Kendrick Lamar porta il suo pensiero all'Arena di Verona che, per una sera, abbandona la sua antica sacralità per fare da sfondo a un sabba lungo poco più di un'ora. Una brevitudo, per dirla alla latina, che non ha scosso il pubblico ma che qualche riflessione la muove. Certo l'arte non si misura col tempo, la potenza, l'energia, la sacralità di un concerto non si annidano in una clessidra, ma la sola data italiana del rapper californiano si è consumata alla velocità della luce. Ancora si respiravano le note di Savior, brano col quale ha chiuso il suo set, che già lui era sparito e le luci si sono accese. Nessun bis, nessun dono a un pubblico, arricchito da molti americani, che ha speso, per esserci, tra i 184 e i 253 euro a biglietto. Una cifra di certo non leggera per le tasche della gente. Ma che non ha scoraggiato, perché nonostante le voci che parlavano di un mezzo flop, l'Arena era piena e ciò conferma che Clemente Zard, con la suo Vivo Concerti, non ha sbagliato a volerlo portare a Verona.

Kendrick Lamar Verona

Palco disadorno per non togliere la scena a Kendrick Lamar che, non dimentichiamolo, oltre a essere uno dei rapper più ascoltati al mondo, è stato il primo artista proveniente dall'universo hip hop ad aggiudicarsi con l'album Damn il Premio Pulitzer per la musica, un premio che abitualmente viene assegnato a compositori classici o musicisti jazz. La motivazione parlava di "una virtuosistica raccolta di canzoni caratterizzata da una autenticità del gergo e dalla dinamicità ritmica, capace di offrire immagini che colpiscono e che catturano la complessità della società afro-americana oggi". Quando lui appare, con un look ai confini dell'improbabile (sneaker e calzino bianco, pantalone turchese, camicia lilla con sotto una canottiera bianca), tutta l'Arena balza in piedi, come fosse alla Fiera di San Firmino a Pamplona e i tori avessero iniziato la loro corsa maestosa. Due fondali per l'intero concerto, prima una serie di volti neri, poi uno unico, immagini molto colorate che ricordano i dipinti di certi artisti bahiani. I musicisti esiliati ai margini del palco, praticamente invisibili. Kendrick a troneggiare sul palco, con le sole incursioni di alcuni ballerini con movenze tra i ritmi afro-americani e la capoeira, e un virtuoso dello skate-board. Il concerto si apre con N95, cui segue ELEMENT. La folla ondeggia, sovrasta in alcuni momenti la voce di Lamar che in più di una occasione, ascolta col suo sguardo malandrino e assorbe tutto l'amore che gli arriva. In ordine sparso incalza con King Kunta, LOYALTY, DNA e LOVE. Poche volte, e di concerti nel tempo ne ho visti centinaia, ho visto tanta devozione. Le sfumature nu-jazz e blues hanno dato un tocco leggiadro alla serata, sottolineando l'unicità di questo artista unico, folle, carismatico ed enigmatico. Un reverendo nel senso laico del termine. Arrivano Count Me Out, Money Trees e la devastante, insolente Bitch, don't kill mi vibe. Le lancette dell'orologio hanno da poco girato l'ora e siamo già ai titoli di coda: Alright e la già citata Savior sono il gran finale ma anche il commiato. Un commiato che non prevede repliche. A casa porto il ricordo di un concerto pazzesco seppur liofilizzato!

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