Dente protagonista a Porto Rubino: "Ora col passato ho imparato a dialogare"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Credit Marcella Magalotti

L'artista di Fidenza, nel suo album "Hotel Souvenir", indaga il tempo, la consapevolezza e la cura di sé. Ospite della serata finale della rassegna itinerante creata da capitan Renzo Rubino a Campomarino di Maruggio, si fa nostromo e ci indica la rotta per l'orizzonte dell'anima. L'INTERVISTA

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“Hotel Souvenir”
è un disco sulle scelte fatte nel tempo, sulle decisioni che ti cambiano e i meccanismi che ti inchiodano al palo. Ma non solo; è anche un disco sulla consapevolezza e la cura di sé (vuoi cambiare la testa, canta in "Un anno da dimenticare, ma come si fa?). Dente, alias Giuseppe Peveri, crea dieci brani che evocano il presente attraverso ricordi dal passato e sguardi al futuro, delineando un luogo immaginario, una malinconica e un po’ malconcia stanza dei ricordi a cui si impara a voler bene con il tempo. “Hotel Souvenir” è uno spazio fortemente autobiografico capace di diventare storia di tutti, fotografando con grande sensibilità sentimenti universali.

Giuseppe partiamo dalla storia di “Hotel Souvenir” e la sensazione di un lavoro di una persona che cammina verso il futuro con la testa girata all’indietro, come se il tempo non avesse regole certe ma solo individuali.
E’ vero che il tempo è individuale. Tecnicamente non lo è ma sappiamo quanto sono lunghi cinque brutti minuti rispetto a due ore belle. Qui c’è molto del mio passato e di quello che sono stato. In “Hotel Souvenir” parlo del passato in modo più sereno, ho aperto dei dialoghi con me stesso e dunque è più un luogo della nostalgia ma ci dialogo.
Uno dei temi dell’album è la cura di sé: la sensazione è che oggi sia meno umiliante chiedere aiuto se si è in difficoltà. Hai anche tu questa percezione oppure la velocità del mondo ci porta verso l’isolamento? In “Presidente” parli di eutanasia che io interpreto come eutanasia interiore e di slancio verso il prossimo.
Non c’è più vergogna, è vero, ed è bello anche se non è così dappertutto e per tutti. Fino a qualche anno fa la terapia era considerata svilente, abbiamo sempre pensato che le cose si risolvono in altro modo. Poi ci sono andato e mi ha fatto bene e farebbe bene a un sacco di gente. E’ anche frutto di questo percorso il disco, è un percorso di consapevolezza, è conoscersi meglio. Spesso pensiamo di conoscerci bene ma c’è che ci conosce meglio.
“Dieci anni fa” è una canzone di formazione, potrebbe essere il plot narrativo di un romanzo: cosa resta oggi del Giuseppe che non voleva decidere e solo vivere?
Sono uno che ha capito quella formula, all’epoca non riuscivo a parlarne. La canzone è interessante per il suo dialogo col passato, perché è stata scritta dieci anni fa ma il ritornello ha un anno. E’ un dialogo con un me stesso che non c’è più. Oggi posso dire che la forma giusta, è una canzone a tutti gli effetti, prima aveva qualcosa che non mi tornava.
“Parlo sottovoce e penso troppo veloce”: quando hai scritto queste parole hai pensato che è un privilegio di pochi nella stagione dei leoni da tastiera?
Non ci ho pensato. E’ una frase che non ha a che vedere coi leoni e la modernità, con chi crede che il commento vada fatto a tutti i costi: non è un modo sano di stare al mondo. Però si parla di una relazione finita e della cura di sé. Non è facile comprendere quando farlo ma capirlo è meglio perché sai che devi fermarti.
L’”Allegria del tempo che passa” mi ha ricordato le osterie fuori porta cantate da Francesco Guccini: hai scoperto dove si nasconde l’allegria del tempo che scorre? Sembra quasi un aggiornamento del tutto scorre di Eraclito.
Non lo ho scoperto dove si annida e non so se c’è nel tempo che passa. Le strofe nascono tanto tempo fa e il ritornello da poco. Per me il tempo che passa non è una cosa allegra, dunque ho creato una piccola bossanova che trasmette saudade: è il modo dei brasiliani di trattare la melanconia con un ritmica allegra.
Perché oggi fa paura l’idea di poter stare bene?
Perché quando stiamo male siamo in una confort zone e ci crogioliamo del non avere fatto certe cose e invidiamo chi ci è riuscito. Restiamo incastrati ed è un modo assurdo che ha la testa per tornare tranquillità: Ci auto-sabotiamo e mugugniamo per stare bene. Però perdiamo le piccole e grandi gioie che andrebbero coltivate e riconosciute.
La solitudine è presente in tutte le tracce e in “Discoteca solitudine” raggiunge l’acme: la intendi nel senso di Sant’Agostino cioè dolce solitudo sola beatitudo oppure come fuga dalla realtà? Per altro in “La vita fino a qui” parli della stessa solitudine di vent’anni fa. Arriva un senso di immobilità.
La canzone parla proprio dell’immobilità che ho provato e provo come mi è capitato tanti anni. La solitudine non mi dispiace e a un certo punto maturi la consapevolezza che non devi fuggirla. Nel finale quando dico “vieni a vedere la mia solitudine” mi fa sorridere, è bizzarro. Ha una ritmica poco triste.
In “Un anno da dimenticare” inventi una poesia: forse non tutto è da scordare…
Non c’è nulla da scordare. La canzone è sulla rinascita, parla di ricominciare dopo un anno da dimenticare che non è quello del covid anche se nasce poco dopo; è un ricominciare non da capo ma lasciarsi alle spalle qualcosa.
Invece “Presidente” mi ha riportato a “La ballata degli annegati” di Fabrizio De André: scegliere di annegare è libero arbitrio o è la società che sceglie per te?
Nella canzone è libero arbitrio. Parlo di eutanasia ma anche dei diritti fondamentali dell’uomo che ci vengono negati. E l’espressione massima della libertà, quella di scegliere di morire, ci viene negata ed è assurdo.
“Un viaggio nel tempo” è speranza o disincanto per quel ragazzo che deve ascoltarti bene? E che, credo, sia un discorso a quel ragazzo che non vedeva il “duemila poi così lontano”.
Parlo con un ragazzino e gli trasmetto un sacco di consigli, è un tornare indietro nel tempo e parlare con me stesso. Ma il finale è…scordati di quello che ti ho detto perché mi piace essere quello che sono diventato. Io sono la somma della mia storia.
Alla fine possiamo dire che ora sai dove passa la via Emilia e sai come toccare la luna con un dito?
Limitiamoci al fatto che so dove passa la via Emilia. Almeno per ora.
Una curiosità: hai conosciuto la tua bisnonna?
No, mai conosciuta. Ma riguardo ai nonni è difficile pensare che siano stati bambini.
Infine raccontami la tua estate in tour e se sono previste sorprese.
Il disco è fresco, uscito ad aprile, anche se in questo mondo nulla è fresco e va diretto al cimitero. Nessuna sorpresa, almeno fino all’autunno, poi vedremo. Una estate solo di concerti.

LE DATE DEL TOUR
14 luglio Parco Fornaci (VI) - Jamrock Festival

 

21 luglio Arezzo - Malpighi Festival

 

22 luglio Assisi (PG) – Riverock

 

27 luglio Reggio Emilia - Chiostro di San Pietro

 

28 luglio Napoli - Ex Base

 

30 luglio Camigliatello Silano (CS) - Be Alternative Festival

 

12 agosto Spinetoli (AP) - L'Arte non è acqua

 

16 agosto Castro (LE) - Sei Festival      

 

26 agosto Terni - Baravai Music

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