La co-conduttrice della seconda serata della 73ª edizione del Festival ha ribadito l'importanza dell'educazione nella vita dei ragazzi e le responsabilità dello Stato nel garantire democrazia e uguaglianza nelle vite prima e dopo la prigione. Un monologo in cui critica, senza citarlo, che critica - senza citarlo - il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri
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"Se non faremo in modo che un giovane, quando esce dal carcere, sia migliore di come è entrato, sarà un fallimento per tutti. Se non ci arriviamo per civiltà, per umanità, o in nome dell'articolo 27 della Costituzione, facciamolo per egoismo, perché conviene a tutti che un rapinatore, uno spacciatore, una volta fuori, cambi mestiere". Francesca Fagnani, co-conduttrice della seconda serata della 73ª edizione del Festival di Sanremo, ha recitato sul palco dell'Ariston un monologo scritto con i ragazzi del carcere minorile di Nisida. "Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso. Alla domanda perché lo hai fatto, però, non trovano la risposta. Risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano, ma che non esce, perché è inutile cercarla così, bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima". La conduttrice di Belve ha riportato il grido dei detenuti: "Non siamo animali, non siamo bestie, non siamo killer per sempre, vogliamo che ci conoscano". Così a quindici, diciotto anni, con "gli occhi pieni di rabbia e di vuoto", i ragazzi "chiedono aiuto, senza sapere quale, e a chi", perché "la scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha mai cercati: non la preside, ma neppure gli assistenti sociali, che o non ci sono o sono troppo pochi per certe periferie, e le madri e i padri, quelli che c’erano, non ce l’hanno fatta".
QUESTIONE DI RESPONSABILITÀ
Fagnani ha raccontato che alla domanda "cosa cambieresti della tua vita" tutti i detenuti intervistati hanno dato la stessa risposta: "Sarei andato a scuola, perché se nasci in quel quartiere, in quel palazzo, o da quella famiglia, è solo tra i banchi di scuola che puoi intravedere la possibilità di una vita alternativa a quella già scritta per te da altri". La co-conduttrice ha sottolineato le responsabilità dello Stato, che "non può insistere nelle aree più fragili del paese solo con la fondamentale attività di repressione delle forze di polizia", ma "dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa e dovrebbe garantire pari opportunità, almeno ai più giovani" per attuare democrazia e uguaglianza, principi fondamentali della nostra Repubblica. In sostanza, "lo Stato dovrebbe essere più attraente, più sexy dell’illegalità". Il destino dei ragazzi che entrano nel carcere minorile, in ogni caso, "non è irreversibile". Trovare un lavoro, rispettare la legge e superare i pregiudizi è possibile, ma non sempre accade. Tornare in carcere può servire "solo a punire il colpevole, non serve a rieducare, né tantomeno a reinserire nella società chi entra. Il giorno passa su un materasso sporco, senza far nulla, in una cella in cui dovreste essere in tre e invece siete in cinque, dove si cucina nello stesso lavandino dove poi ci si lava i denti, proprio sopra il water." Secondo le parole di "un autorevole magistrato" (Nicola Gratteri, n.d.r.), che ha dichiarato di essere “contrario ad uno schiaffo in carcere, ad uno schiaffo in caserma" perché "i detenuti non devono essere toccato nemmeno con un dito, soprattutto perché non devono passare per vittima", Fagnani ha ribadito che la reale ragione risiede nel fatto che "lo Stato non può consentirgli di applicare le leggi della sopraffazione e della violenza". Occorre, piuttosto, un percorso di acquisizione di consapevolezza e di responsabilità, e far sì che i ragazzi scontino "la loro pena senza cercare la nostra pena, perché non se ne fanno niente"