La band multiplatino presenta il nuovo album che uscirà il 2 dicembre in tutti gli store in cd e vinile in nove differenti versioni e su tutte le piattaforme digitali per Columbia Records/Sony Music Italy. Nel 2023 ci sarà il loro primo tour negli stadi. L'INTERVISTA
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Comunità, convivialità, comunanza. I Pinguini Tattici Nucleari, aspettando gli stadi nel 2023, salutano il 2022 con un nuovo album, Fake News, ricco di suggestioni, citazioni, poesia e contemporaneità. con Riccardo Zanotti, Elio Biffi, Nicola Buttafuoco, Matteo Locati, Simone Pagani e Lorenzo Pasini sono entrato nel mondo delle loro Fake News.
Album e stadi. Il volo è sempre più alto.
Per noi è stato un percorso incredibile che non ci saremmo mai aspettati. Noi eravamo legati alla nostra cerchia di fan poi scopriamo che esistiamo perché ci vediamo riflessi negli occhi degli altri. Alla prima conferenza eravate in dieci, noi per anni abbiamo fatto tutto da soli con una cassa comune e senza ufficio stampa. I primi cd erano a offerta libera.
Avete scelto come titolo del nuovo album Fake News: perché?
Il titolo nasce questa estate a Cattolica in un momento in cui, come spesso accade, parlavamo del più e del meno: la vita di una band è anche condivisione, cioè hotel, trasferimenti, pranzi, non è solo stare sul palco. Durante una attesa ci siamo messi a discutere di fake news e di come possano inquinare qualunque dibattito. Noi nelle canzoni mettiamo bugie inserendo racconti ascoltati e notizie captate in brani nostri. Questo è un album vero e un po’ auto-referenziale. In Zen si parla di quanto sia difficile fare questo mestiere anche se siamo dei privilegiati perché ci sono pressione e competizione che sembrano schiacciarci. Barfly, Non Sono Cool e appunto Zen sono auto-referenziali. Poi c’è il rapporto con la pandemia e il relativo confinamento, quindi ci sono brani di solitudine. Le cose si affrontano insieme, siamo comunitari, ci compensiamo a vicenda e ci piace pensare che un ragazzino possa, vedendoci, avere voglia di suonare in una band.
Affrontate anche gli ultimi due anni della nostra vita, quelli legati alla pandemia.
Nella pandemia ci siamo sentiti preda dello sconforto e ne trattiamo in Forse e Hikikomori. Ci sembrava ipocrita non parlarne, un album di solo canzoni d’amore non sarebbe stato reale. Ci abbiamo messo tanto a farlo, la stesura del primo arrangiamento è di un anno e mezzo fa; alcune canzoni sono cambiate parecchie volte, sono maturate; in studio ci mettiamo tanto perché ci sono dibattiti e confronti. Ma c'è anche la responsabilità verso un pubblico che poi sa percepire la linea di basso, la voce e la chitarra ed è un valore aggiunto nella stagione del frontman: le band stanno scomparendo e noi fieramente portiamo avanti questo stendardo.
Ci sono pezzi che si rifanno alla musica che va oltre la trap e altri più cantautorali con delle storie dietro che raccontano qualcosa della nostra generazione, tipo Cena di Classe che narra come si cresce e si affrontano gli ostacoli della vita. È un album molto vario che non tradisce il pop degli ultimi anni ma vira più sul rock, anche se chi ci ha ascoltato dal vivo sa che siamo rock. Ecco qui lo abbiamo reso più evidente.
A proposito di fake news: la scorsa estate è uscita quella che Riccardo avrebbe lasciato il gruppo.
C’è superficialità quando si guarda solo il frontman. Riccardo porta l’idea germinale poi la lavoriamo insieme. Era in Irlanda quando mi è trovato in questa situazione e in un flusso di fake news: chi sosteneva la carriera da solista, chi che si sarebbe presentato da solo ai Music Awards, chi che mollava per soldi…questo ci ha fatto capire il senso della fake news. Lui ci è stato male, non ha passato una buna giornata.
Quale è il vostro concetto di fake news?
Hanno un fascino incredibile, sono quasi una droga, ci si pompa di loro e possono avere più prospettive. Ma la verità, seppur vista da diverse angolazioni, è una: loro possono anche condizionare la realtà e potrebbe essere una sindrome poiché chi ha potere può crearle. Dieci anni fa forse nessuno ne conosceva il significato, oggi sì ma non sappiamo difenderci. Tutti possiamo esserne preda, non importa l’intelligenza. Noi sappiamo che se diciamo una frase in una canzone può avere conseguenze.
In che modo vi sentite generazionali?
Ci sono degli spazi da riempire per ogni generazione, noi per nostra indole ne riempiamo uno che oggi non è molto frequentato. È quasi se quel tipo di Pop che noi facciamo sia una nicchia. Non sappiamo se siamo generazionali ma di certo abbiamo paletti e differenze rispetto a tante cose che escono. La missione è rimanere nel tempo perché è così che diventi generazionali. Ma dobbiamo dimostrare ancora molto. Per questo ti diciamo che non sappiamo se siamo un fenomeno generazionale ma vogliamo diventarlo, partendo dal fatto che siamo qualcosa di atipico nel panorama italiano. Tra noi siamo vicini generazionalmente è abbiamo l’anelito di rappresentare quello che la gente vede, i nostri luoghi comuni, in senso positivo, passando da luogo comune a luogo comunitario. Tra noi c’è un equilibrio dinamico che viene percepito dal pubblico.
Essere multiplatino significa che sono milioni di persone ad ascoltarvi.
Sapere che Fake News verrà ascoltato da molta più gente ci sprona perché molti entreranno più nel dettaglio di quello che facciamo. Noi non ragioniamo se un brano può essere un singolo ma sul fatto che se entra nel disco deve essere bello. Sentiamo le aspettative e leggiamo i commenti. La nostra storia nasce sul palco, nasce dalla fisicità. Chiaro che le aspettative spaventano e avendo fatto canzoni andate bene sentiamo le responsabilità ma siamo anche consci che potrà venire un momento in cui le cose non andranno bene e quel momento lo affronteremo insieme. Lavoriamo molto in studio, mai passato così tanto tempo in quella dimensione.
Hikikomori descrive il senso di isolamento di tanta parte dell'umanità.
Non è un modo sano di vivere e per uscire dall’isolamento umano bisogna andare verso esperienze corali e comunitarie. Crea problemi psicologici ma quel fenomeno di pigrizia e svogliatezza è un errore della società moderna: se si parla di gente che non sta a proprio agio nella società, il problema è della società non dell’individuo. Se il tema è la competitività diventa difficile stare insieme. Le persone possono essere contente anche senza successo.
In Sono Cool vi togliete qualche sassolino dalla scarpa.
Ci mettiamo qualche frecciatina su come funziona un establishment che mette il cool al centro. Per noi non è quella la strada, bisogna fare bene il proprio lavoro artistico.
Ed eccoci al tour negli stadi.
È stato un azzardo ed è giusto che ci siano delle critiche. Ma i risultati ci sono e il disco speriamo porti ancora più persone. Sui siti di ticketing si vedono i numeri. Resteremo i ragazzi della porta accanto anche se facciamo dieci stadi. Facevamo ore in sala prove anche quando cantavamo per poche persone. I piedi restano per terra. Non ci aspettavamo di fare un tour del genere anche se ci stimiamo molto come artisti. Stiamo costruendo idee che portino il live a una esperienza narrativa sulla nostra storia: pensiamo al pezzo Dentista Croazia e a quel furgone che esiste davvero. Noi vogliamo continuare le nostre storie. È cambiato il nostro approccio al live, dobbiamo riarrangiare il repertorio senza perdere la cantabilità.
Nei vostri testi ci sono citazioni sottili e arguti giochi di parole, cito per tutti la pioggia nel Pigneto.
La nostra prima volta a Roma fu in un posto che si chiamava ‘na cosetta proprio al Pigneto, era microscopico ma pieno di date. Pioveva quel giorno e c’è molta Roma nella canzone ma anche molto di nostro. Le cose ironiche sono spesso frutto di nostri inside joke. La musica è uno degli ultimi spazi liberi che una volta aveva la poesia. Le parole sono importanti. C’è quasi un piacere perverso nel vedere come le persone interpretano una frase sapendo che per noi significa tutt’altro.
Ironizzate sulla Trap e sui Maneskin.
Ci sentiamo di dire che dopo un po’ una certa Trap può iniziare a stancare. Ma c’è gente come Bresh e Leon Faun che sanno rinnovarsi costantemente. Poi c’è l’estetica del flexing che tende a gonfiare il piccolo successo ed è lì che nel testo costruiamo la polemica. Con i Maneskin c’è stima, siamo entrambe band, ci siamo parlati varie volte. Loro curano di più l’estetica ed è un bene che un progetto così abbia girato il mondo costruendo una cosa mai avvenuta in passato. Certo che quando ci guardiamo allo specchio noi non vediamo i Maneskin.
Dove sta la vostra identità?
Noi ci siamo inseriti in uno spazio libero per una band che porta musica leggera. Ci siamo seduti lì abbiamo preso quello spazio che ora sta diventando più grande. Ci piace pensare che tutto quello che arriva sia frutto del lavoro. Per noi tutto è consequenziale, ogni cosa è frutto di un’altra accaduta prima.
Dopo gli stadi pensate di puntare al mercato estero?
Quello inglese è un mondo che ci affascina. Non sappiamo se i Pinguini avrebbero potuto crescere a Londra, soprattutto all’inizio quando non hai i soldi. Il nostro primo comandamento è stato investiamo non i nostri risparmi ma quello che guadagniamo, avevano infatti una cassa comune. Il nostro è un progetto molto italiano ed è forse questo il passaggio più complesso perché certe cose non esistono in altre lingue, sono solo nostre.