996 – Le canzoni di G.G. Belli, gli Ardecore raccontano la loro Roma

Musica

Fabrizio Basso

Credit Daniele Bianchi

Il nuovo, monumentale progetto della band romana è dedicato al grande poeta Giuseppe Gioachino Belli, tra gli autori più rappresentativi della letteratura romana. Ne abbiamo parlato col leader della band Giampaolo Felici

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996-Le Canzoni di G.G. Belli
è il nuovo progetto degli Ardecore dedicato al grande poeta Giuseppe Gioachino Belli, tra gli autori più rappresentativi della letteratura romana, che ha realizzato un'opera enorme, composta di oltre 2000 sonetti che hanno dato voce, dignità e "lingua" al popolo di Roma. Un doppio album sulle piattaforme digitali, per La Tempesta Dischi distr. Believe, e un libro, edito da Squilibri, quale unico supporto fisico dell’intero lavoro. Il volume letterario, infatti, tramite QR Code, offre la possibilità di accedere all’ascolto in streaming e al downloading dei due dischi, e contiene i testi, con note autografe del Belli, le nuove partiture di tutti i sonetti musicati, le illustrazioni originali realizzate da alcuni disegnatori di fama nazionale e internazionale e l’importante prefazione di Marcello Teodonio, il più autorevole studioso dell’opera Belliana e presidente del centro studi G.G.Belli.

Giampaolo partiamo dalla nascita del progetto, per altro monumentale per la velocità di ascolto di questa epoca.

Ci abbiamo riflettuto e ce lo hanno anche sconsigliato: oggi funziona il singolo e l’album è anacronistico. Noi però siamo sempre andati in altre direzioni. Non potendo per chiare origini attingere a un pubblico super giovane ci siamo adatti a noi stessi.
Come avete scelto i sonetti e il valore aggiunto del libro come amplia il viaggio?
Cominci il lavoro e cerchi una via anche musicale. Pur nelle difficoltà anche della struttura, poiché il sonetto con due quartine e due terzine impone un lavoro diverso. Pertanto ti trovi paradossalmente a lavorare su qualcosa che ha una struttura vecchia e ti porta a cercare una struttura musicale innovativa, facendo comunque attenzione e non fare solo antropologia musicale. Il Belli ha affrontato il tema del popolo, ha messo in grammatica i suoni gutturali dunque meglio il libro del vinile e del cd, anche se non è detto che non arrivino più avanti. Ogni titolo ha una sua copertina col contributo di tanti illustratori, ci sono i testi e tante altre informazioni che non ci sarebbero state in un booklet.
Se guardiamo alla storia della band credo che il punto di maggiore contatto tra voi e il Belli sia l’attitudine alla satira: sei d’accordo?
La satira è insita nel popolo romano, anche la situazione più drammatica la affronta in modo scanzonato, si tende a sdrammatizzare. Nei primi dischi abbiamo affrontato il tema della morte come la può affrontare un romano. Il Belli faceva parlare il popolo e dunque è un modo nostro di essere.
Come possiamo salvarci dalle streghe odierne, intendo quelle della politica e dell’economia? Non credo basti più una scopa alla finestra.
Non basta ma non guasta e ce la metterei comunque. La tradizione popolare anche se con significati diversi è illuminata tante verità. Col Belli si raccontavano la difficoltà di un popolo e una società con enormi differenze: clero, Stato pontificio, nobili da una parte e un popolo solo legato alla miseria e alla tradizione orale dall’altra. Oggi sono migliorati i tempi è non c’è più la fame dell’epoca ma le differenze permangono.
"Famo campà li poverelli" è un verso molto attuale, in questa epoca di migrazioni. Per altro anche ne La Carità c’è un senso di accoglienza e di muto soccorso.
In quella Roma le differenze erano più acuite. Storicamente Roma è un pozzo multirazziale, gli imperatori stessi spesso erano né romani né italici. Nell’800 chi non era romano era burino… e comunque ti dico che se Roma ci ha insegnato qualcosa è l’accoglienza.
Chiudete il primo album con La creazione e La fine del mondo e con Il giorno del Giudizio: cosa ti fa più paura?
Mi fa paura che il romano essendo egocentrico porta la fine del mondo sempre dentro Roma. Il trittico spiega che tutto a Roma inizia e finisce. Arriviamo a un decadentismo che ci porta alla fine dei tempi, poi se ci pensi il negoziante fallito e la carità segnano il crollo definitivo dell’impero.
Chi è oggi Caino? E chi è il dottore che non lo difende?
Caino è il popolo. Il fratricidio fa parte della storia romana, non dimentichiamoci di Romolo e Remo. Il dottore è il benessere sbilanciato.
"Abbasta d’avé ffede e ddevozzione" dice La Provvidenza. Ti fa sorridere questa frase? Roma resta tanto papalina?
Il gioco del romano è ironico, non sai se usa l’ironia per dire come stanno le cose o evidenziarne il paradosso. Cantandolo diventa ironico. Roma papalina oggi non direi, prima dominavano il clero e il papato, oggi il potere è molto più politico. Però Papa Francesco ci rende papalini per il sostegno che dà a una sfera sociale che lo Stato avversa indipendentemente da chi è al governo.
"Accusí er Monno: è ttanto granne e ggrosso, e a nnove o ddièsci Ré mmanco j’abbasta": dal 1833 non è cambiato nulla, tutto resta spartizione e merce di scambio. Triste vero?
Ormai come va la tarantella lo abbiamo capito, già da giovani sappiamo che le cose funzionano così. Cambiano i tempi ma resta difficile trovare qualcosa si nuovo. Le generazioni nuove lottano e hanno sempre qualcosa da cambiare, quando il degrado aumenta ci si avvicina di più al cambiamento. Da musicisti facciamo il nostro sporco lavoro.
In cosa leggiamo oggi la modernità del Belli?
Nel trovare una analogia tra la società di allora e di oggi. È un grosso poeta anche se a inizio Novecento lo hanno trattato come un comico. Ha preso valore dopo la Seconda Guerra Mondiale perché ha descritto cose importanti della società, facendo parlare il popolo. È la cronaca che diventa arte. Anche Pier Paolo Pasolini, penso ad Accattone, è simile a lui. Pasolini ha descritto un certo popolo brutto che era la Roma del Pigneto, del Mandrione e di Centocelle. Entrambi sono grandi poeti e scrittori che hanno raccontano e dato significato al loro tempo.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Lavoriamo perché anche quando ci riposiamo  facciamo altre cose; abbiamo un po’ di date in giro tra cui una a Roma l’1 gennaio. Speriamo di suonare il più possibile per esprimere la fase emozionale, vogliamo raccontarla, il contatto col pubblico è speciale. Io quando non sono sul palco faccio il promoter e so quanto è difficile suonare: gira meno arte dopo la pandemia.

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