The Bankrobber, Maddalena Oberti: "Fieri di essere identitari e ora contaminiamo le arti"

Musica

Fabrizio Basso

maddalena oberti

Il nome della band viene dall'omonimo brano dei Clash. Il nuovo album dei fratelli Oberti si intitola Lighters and Lovers. L'INTERVISTA

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Non capita spesso, ma vivaddio ogni tanto capita, che ascolti un album e rimani stranito. Così mi è accaduto con Lighters and Lovers, il nuovo lavoro dei The Bankrobber, il progetto artistico dei fratelli Giacomo e Maddalena Oberti. Ci sono, nelle undici caleidscopiche tracce, il seducente alternarsi di voci femminile e maschile, l'aggressività di synth e tastiere, chitarre che sembrano una voce in più... è Lighters and Lovers un album profondamente internazionale ma che conserva, gelosamente, le sue radici italiane, che si sviluppano a Riva del Garda. Ho chiesto a Maddalena di accompagnarmi nel mondo dei The Bankrobber e nel suo.

Maddalena partiamo dalla storia dei The Bankrobber e dalla tua passione per la musica.
Magari questo fosse un vero lavoro, è una parolona. Verso i dieci anni ho iniziato a suonare il piano e mio fratello, di sei anni più grande, studiava chitarra alla scuola musicale: è capitato che mi sono innamorata di una ragazza che suonava il piano e di riflesso mi sono innamorata dello strumento. Ho iniziato a frequentare il Conservatorio dopo un anno di lezioni private. Certo è un ambiente molto diverso da quello della band. Oggi insegno pianoforte classico. Nasco in una famiglia con un padre batterista e a otto anni mi hanno regalato un lettore di mp3 dove sono state caricate canzoni che, nella stagione delle elementari, mi ascoltavo in casa, assorbita da realtà quali i Verve e i Gorillaz. Poi, durante l'adolescenza, ho approfondito la conoscenza della musica e ho scoperte altre band.
Perché rapinatori di banche?
Sono entrata nel gruppo in un secondo tempo e il nome era già quello. Si ispira alla canzone dei Clash.
Il vostro percorso è molto live. E fate molte cose all’estero: in cosa l’Italia vi delude, artisticamente parlando?
Questa estate alcune date in Italia le abbiamo fatte, a Volterra, ad esempio, abbiamo aperto il live di Fulminacci. È proprio una cultura diversa come nel cinema e nel vestire. In Francia e Germania non si rincorre il mainstream, suonano band sconosciute ed è cool andarci anche se sono di un’altra nazionalità e acquistare la maglietta e il vinile. In Italia spesso gli interessi sono ristretti.
È opera tua il video di Leash Died (Shouldn't Cry). Come lo hai pensato?
Un po’ acido visti i suoni elettronici, ho creato una atmosfera un po’ sottosopra che ho espresso con i movimenti di macchina; anche le sequenze statiche hanno angolazioni storte.
White Skin la percepisco come una canzone sull’assenza molto figlia di questa epoca dove anche se sulla pista tutti ti guardano fondamentalmente siamo soli. È così?
È un testo scritto da mio fratello Giacomo, io ho pensato il video. La musica si interpreta, ognuno ci legge quello che vuole. Per il video di White Skin vorrei ringraziare Nicola Cattani, Camilla Pozza, Daniele Magoni, Mattia Ottaviani, Tobia Cattoni, Marco Carner e Dario Marconcini.
Somebody killed my name… alla fine cantate sarei potuto essere annullato sarei potuto essere qualcuno: quanto è importante oggi essere identitari?
Ho sempre avuto la paranoia di avere una firma distintiva. Viene naturalmente. È importante per un discorso di unicità. Non vogliamo avere inventato qualcosa di nuovo ma scrivere cose vere. E l'idea di essere identitari è per noi motivo di orgoglio.
Uno dei temi ricorrenti dell’album è, a mio avviso, il tempo: come ci convivi? È sempre poco, sempre troppo?
Nasconde insicurezze, il mistero, il passato e il futuro, sensazioni non negative ma molto personali e incognite.
Dalla pandemia in avanti la musica è tornata a essere portatrice di speranza: credi che possa aiutare a cambiare il mondo o potrebbe essere una illusione come negli anni Sessanta?
Può esserlo e ho la sensazione che stiamo sempre progredendo ma siamo purtroppo abituati a fare un passo avanti e due indietro un po' in tutte le cose. La musica non può farcela da sola, servono sinergie. Diciamo che può contribuire collaborando con le arti figurative, il cinema e la letteratura.
Dieci anni fa con Señorita ci fu forse la svolta: cosa resta di quei bankrobber?
Fu una esperienza importante ma non la svolta. Il progetto era diverso anche se è rimasto il nome. Non ci sono più sulle piattaforme quegli album.
I Know what I want beacuse I’m always wrong: questa è la formula magica dei Bankrobber?
È tra le mie canzoni preferite preferite durante i live anche se mi piaceva meno ascoltarla; ha una batteria con un loop pazzesco e si può sporcare con arrangiamenti più ruvidi. Sarà il prossimo video. Sì, ci rinosciamo in quel verso.
Al di fuori del suo ruolo artistico chi è Maddalena?
La mia passione è realizzare video, mi piace collaborare per creare un concetto, un video. Ho frequentato il liceo artistico con indirizzo multimediale che mi ha trasmesso questa passione. Pure la fotografia mi appassiona.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Terremo dei concerti a fine novembre in Francia e in Spagna. Per ora in Italia non abbiamo date.

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