IlSognodiPrometeo, cullare il nostro lasciarsi andare è...Anche No: il video

Musica

Il punto chiave del brano è il dolore comune che teniamo da parte e nascondiamo mandando in avanscoperta una versione di noi più accettabile socialmente e più schermata

IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA

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Il primo spunto era stato semplicemente quello di fare un video in cui i vari protagonisti avrebbero dovuto recitare scene di ordinaria vita sociale in modo formale, ma nel frattempo con il labiale avrebbero dovuto cantarsi le parole della canzone. Il brano l’ho scritto un po’ di tempo fa e ha attraversato diverse forme di arrangiamento durante il periodo in cui la proponevamo live prima di registrarla, poi ha trovato la sua forma definitiva in questa produzione fatta assieme a Danilo Cherni e Valentino Cervini. Volevamo trasmettere questa specie di un disagio contemporaneamente a una specie di serena malinconia. Infatti, in un certo senso, la vedo come una canzone per cullare il proprio lasciarsi andare. Ma non nel senso di cedere, ma di abbandonarsi a ciò che non deve essere aggiustato. Visto che spesso, quando le cose non vanno, vengono ancora peggiorate dal fatto che non ci va bene il fatto che le cose non ci vadano bene (che detto così sembra uno scioglilingua).

L’idea è stata poi elaborata assieme al regista (Andrea Dragoni), con cui c’è stata subito una bella intesa. Conversando assieme e confrontandoci sono venute fuori diverse immagini e concetti su cui ci siamo immediatamente trovati entrambi. Man mano il tutto si ha preso forma in quello che adesso è il videoclip (che è stato realizzato da Vaniglia Production).

Abbiamo trovato una location (“Spazio Recherche” a Roma) con degli spazi che ci hanno molto stimolato. La grande sala quasi vuota e completamente bianca ci ha dato quella nota di sospensione e alienazione che cercavamo, sia per le scene singole che per la scena collettiva finale. Anche la stanza dove Marta Cherni, l’altra attrice protagonista, fa la sua scena nel camerino è stata molto di ispirazione (che al contrario era piena di roba di ogni genere). Si può notare che c’è visivamente una divisione tra mondo “chiaro” e mondo “scuro”, che però sicuramente non sono da intendere in modo “positivo” e “negativo”, ma piuttosto come fasi del nostro stato emotivo che continuano a rincorrersi mentre cerchiamo di bilanciarle. I nostri piccoli mostri, ma anche le nostre contraddizioni. Il punto chiave credo sia quello di un dolore comune che teniamo da parte e nascondiamo, mentre mandiamo giustamente in avanscoperta una versione di noi più “accettabile” socialmente e più “schermata”, in un certo senso. In questo non c’è un giudizio o una condanna all’ipocrisia ma, anzi, al contrario un’apertura, un abbraccio, alle nostre contraddizioni. Perché dietro qualcosa che siamo, o qualcosa che diciamo, c’è più di un’immagine univoca, netta e monocromatica. E quindi va bene cadere nelle nostre contraddizioni, a piccole inespugnabili ipocrisie, che fanno parte di un tutto a cui non dobbiamo chiedere coerenza assoluta ed eterna.

In fondo l’ipocrisia non sta nell’essere “duale” o contraddittori, o anche ambigui, ma sta invece proprio nel non ammettere questa nostra dualità, nel non accettare serenamente la nostra contraddizione, né quei nostri strati interiori che sembrano quasi negare quelli esteriori. In pratica i nostri “Anche no”. E questi “Anche no” sono tanto presenti in un’idea o in un’opinione quanto negli stati d’animo, nelle emozioni, e ovviamente nei sentimenti.

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