Gaudiano con L'ultimo Fiore attraversa a lunghe falcate i sentieri l'amore

Musica

Fabrizio Basso

gaudiano

L'album è caratterizzato da immediatezza e semplicità, elementi attraverso i quali riesce a comunicare sentimenti personali quanto condivisibili, raggiungendo anche le parti più profonde dell’anima e facendo breccia al primo ascolto. L'INTERVISTA

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L'Ultimo Fiore
è il biglietto da visita di un nuovo e rinnovato Gaudiano, più maturo e consapevole. Appassionato e instancabile, nell’ultimo anno non ha mai smesso di mettersi alla prova e cercare nuove strade su cui tracciare il proprio percorso musicale per lasciare un segno indelebile. Con questo progetto il cantautore dimostra di non aver paura di osare e di saper abbracciare sonorità eterogenee pur conservando un’identità ben precisa. Il fil rouge che lega i dieci brani è sicuramente la scrittura di Gaudiano, tra le più incisive e autentiche del cantautorato italiano di nuova generazione, che spicca per l’immediatezza e la semplicità con cui riesce a comunicare sentimenti personali quanto condivisibili, raggiungendo anche le parti più recondite dell’anima e facendo breccia al primo ascolto.

Luca, partiamo dalla storia dell’album: come lo hai pensato e come lo hai costruito?

Ha come riferimento la figura del cerchio, una partenza e un arrivo nel senso di ritorno. Il punto di partenza è la prima canzone, Rossetto, e se ci ripenso adesso gli do un significato quasi ancestrale e atavico: ripensandoci provo una certa felicità sul passato, quando prima del covid il mio entusiasmo viaggiava su una felicità quasi inconsapevole…per altro stavo allestendo anche uno spettacolo teatrale che ora arriverà. Le canzoni parlano del rapporto con una persona in particolare ma con un linguaggio ampio e che spiega come nella vita arrivino cose improvvise che ci mettono a confronto con la solitudine e ci costringono a farci domande. I cambiamenti ci mettono a confronto con noi stessi. Ho chiuso il cerchio con L’Ultimo Fiore. In mezzo, tra le altre, c’è Polvere da Sparo che è il cambiamento di pagina, è la musica che sa anche guardare avanti.
I passi per realizzare l’album sono stati larghi o stretti?
Sono state lunghe falcate, lo ho realizzato con professionisti incredibili, è un disco realmente suonato con poco computer. Alessandro Gemelli e Francesco Cataldo in produzione hanno lavorato su cinque canzoni ciascuno. E’ un lavoro gestito in modo collettivo, mi sono affidato molto ai pensieri di chi collaborava con me. Le canzoni le ho scritte tutte con la chitarra a casa ma per il disco serve competenza. Duque ti dico falcate veloci perché in una settimana ho registrato tutto.
Quando hai levato via la sabbia dalle scarpe e le hai viste bianche come te…quale è stata la prima reazione all’urgenza di mettersi a nudo? Hai sentito una parte di te che faceva resistenza.
Le resistenze le lego alle paure. Quado ho scritto Rossetto c’era una resistenza per via di un lavoro introspettivo che veniva fatto. Cerco sempre di abbandonarmi all’istinto, di fare entrare le persone nella mia storia e cerco di resistere alle resistenze perché lasciarsi andare elimina le sovrastrutture che ci legano.
Quello che era l’amore di mamma e papà oggi la tua generazione lo guarda con invidia o è il racconto di un’altra epoca?
Tengo tantissimo al brano Love Story ma quell’idealizzazione ha messo in crisi una generazione, ci ha spezzato il cuore in alcuni stagioni, ci ha disillusi fino a scoprire che l’amore oggi ha un altro volto, è meno idealizzato. L’amore dei nostri genitori spiazza una generazione intera e dobbiamo rimboccarci le maniche e farci vita nostra indipendente da quell’amore idealizzato. Ha fatto danni: è stato positivo per un lungo periodo ma ha creato danno sulle aspettative delle altre persone.
Le risate hanno spazzato via le cazzate e dato fuoco al mondo oppure non c’è combustione?
Le risate hanno una forza incredibile, credo nella forza dissacrante dell’ironia. Essere autoironici mette l’altro nella condizione di potersi spingere oltre. La combustione nasce dalle risate.
Piove Veleno e Oltre le Onde sembrano mostrare un uomo in difficoltà: quanto c’è di te e quanto di storie ascoltate?
La prima è il mio anatema. Tutto il disco ha una solarità che qui si ferma, come se mettessimo un piede in fallo per entrare negli inferi dell’animo umano. Ho dovuto descrive il mio dark side, se no il disco sarebbe stato un falso d’autore. La dedica è a mia madre e al nostro rapporto difficile, per me lei è il simbolo del conflitto in una relazione. In origine doveva intitolarsi Bagdad perché per la mia generazione è sinonimo di conflitto. Poi mi sono spostato sul rapporto che è più essere universale e racconta anche le difficoltà nel gestire il rapporto con la rabbia e come gestire la rabbia medesima. E’ un side B della mia personalità finora edulcorata.
Un altro tema che torna, e cito per tutte Glutine, è l’attesa di risposte: spesso i testi sono scritti come fossero una lettera piena di domande, anche se non ci sono punti interrogativi. Hai trovato, o avuto, qualche risposta?
Nel farmi domande non mi sono mai lasciato con un accordo di sospensione, ho sempre cercato di risolvere perché le domande aperte lasciano un dissidio forte in noi. Glutine è il collante quotidiano per tenere insieme le relazioni nonostante la vita sia una corsa a ostacoli. La forza la trovo nel rapporto stesso: nutrire un sentimento porta una forza della quale spesso non sei consapevole.
Per altro la tua immagine non emerge proprio come cristallina…a partire delle incazzature di Rimani: la vita di coppia ti spaventa molto? Oppure hai bisogno di perderti tra gli sbalzi di umore?
La descrizione è già nella domanda. Parlo del rapporto e lo elogio, questo disco ne è un elogio…lì parliamo di una persona e non solo del suo confronto con lo specchio per il quale viviamo in un mondo finto e artefatto. Occorre una persona vera con cui spartirsi le cose della vita, è il solo rifugio soprattutto se ti crollano certezze come il futuro e la famiglia.
Per ognuno dei giudici che il dito punterà: ti senti spesso giudicato?
Spessissimo ma non dalle persone della mia vita che mi sono scelto. Mi spaventa il giudizio nascosto, insabbiato, che non ti viene detto. Mi riferisco a chi mi ha mentito e crede non lo abbia capito, lì vedo la cattiveria delle persone.
Dopo Polvere da Sparo tieni sempre un analgesico nel cassetto?
Lo porto a prescindere. Anche in tasca perché soffro di emicranie. Un analgesico che vive dentro di me si chiama memoria. L’Ultimo Fiore nasce dopo l’incontro con Giuliano Sangiorgi in treno; abbiamo parlato della perdita, entrambi abbiamo perso nostro padre e lui mi ha spiegato che la cosa brutta è che diventa una foto sul comodino e tu non lo vuoi. La mia paura più grande è dimenticarmi l’odore e infatti ho ancora nell’armadio molti dei suoi maglioni, a volte in inverno li indosso. Giuliano mi ha consigliato di rispondere alla sofferenza con i ricordi più belli che abbiamo.
Al primo appuntamento meglio un giro di perle o un giro di giostra?
Meglio un giro di giostra per riprendere il giro dell’ironia.
Alla fine dell’album possiamo dire che ora sei in condizione di remare un po’ meno e stare di più vicino all’argine?
E’ proprio il caso di farlo. L’ambiente discografico spinge a tirare fuori continuamente dischi e singoli e questo mina creatività e ispirazione, concetti intorno ai quali gira l’attività del cantautore. Non voglio diventare interprete, credo di avere ancora un po’ di cose da dire dunque mi accosto all’argine per preparare i miei concerti, credo nell’esternazione dal vivo di quello che è nato in studio. Ho già iniziato a scrivere cose nuove, vorrei provare ad affacciarmi a un concept album. Punto a volare in alto per arrivare almeno a metà.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Sto facendo le prove per un set acustico nella riserva naturale di Marinello vicino a Messina, nell’ambito dell’Indigeno Fest. Sarà un live acustico con Roberta Raschellà e Marco Parenti. La data zero del tour autunnale sarà il 24 settembre a Foggia, la mia città, poi andrò a Milano, Roma e avanti così per un po’ di tempo, anzi spero a lungo.

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