Il luogo che titola il nuovo album dell'artista marchigiano è esistito davvero a Urbino ed è dove tutto è iniziato. L'INTERVISTA
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Arriva sempre il momento in cui si fa i conti col passato. E quando questo voltarsi indietro è dolce l'incontro si fa più palpitante. Col nuovo album Bar del Sole Raphael Gualazzi ci porta nel bar dove è iniziata la sua avventura artistica. Le prime sere era deserto, poi un amico con la fidanzata quindi un po' di gente fino a centinaia e centinaia. Prodotto da Vittorio Cosma il bar ospita i contributi di Funk Off, Filippo Graziani, Margherita Vicario, Trio Bobo e Filippo Timi.
Raphael quando è nata l’idea di Bar del Sole e come hai sviluppato il progetto? I brani scelti sono quelli che più ti ricordano quel periodo?
E’ un omaggio al primo luogo dove mi sono esibito, dove ho fatto la gavetta. Prende l’ispirazione da lì ma qui diventa un luogo metafisico. Nella sua semplicità era frequentato da studenti, professori e accademici internazionali. Chi veniva a Urbino passava di lì e portavano dei soli di ceramica, le pareti ne erano tempestate. Tra il 1996 e il 1997 cambiarono look e mi chiesero di fare musica dal vivo. Io all'epoca frequentavo il conservatorio e portavo lì il mio Chopin. All’inizio nessuno, poi un amico con la fidanzata, dopo un anno duemila persone.
Il Bar esiste ancora? E quando entri e dici il solito che ti portano?
Non c’è più, ore ce ne è uno più piccolo sempre nella stessa via. Una birretta sempre.
Uno dei temi dell’album è la parola condivisione: cosa significa oggi?
Rispetto alla musica penso alla scelta artistica che si fa con condivisione nutrendosi della propria ispirazione: innamorarmi dei brani che fanno parte della storia italiana mi riporta alle mie origini. E' come essere tornato a scuola per come sono costruiti a livello compositivo e per come si lavora su capolavori del genere. Sono molto felice: Bar del Sole ha ispirazione e non tradisce l’aspetto multiforme del divoratore di musica.
Come hai detto questa musica porta chi la ascolta in un preciso immaginario: ma quale è l’immaginario che ti ha accompagnato nel viaggio creativo?
C'è molta infanzia perché io la musica italiana la ho ascoltata nell’infanzia perché i miei genitori erano appassionati dei cantautori. Poi a 9 anni ho scoperto Ray Charles e il mondo africano-americano. Mia madre era tutto Cocciante, Bertoli, Dalla, Graziani…
In Arrivederci a Questa Sera in alcuni momenti sembra di sentire una voce in falsetto: la sensazione è che questo è l’album dove più hai vocalmente sperimentato. Concordi?
C'è la voglia di leggerezza nel cantare e interpretare e seguire gli stilemi di questa musica. Dopo un periodo così duro si cerca naturalezza. Questo luogo dell’anima è perdersi e ritrovarsi. E' il sentire e il desiderio di rinfrescare e accompagnare una ripartenza.
Se perdo Anche Te è il brano più eretico dell’album, è quasi punk nella sua quiete esecutiva: come è nato?
Sono felice che si ispiri a Solitary Man brano del quale esiste una versione di Johnny Cash. A livello testuale può essere declinata in punk pichedelico. Ci ha rivelato una sua forza espressiva nel testo e volevamo descrivere l’intesità nella sofferenza nel perdere qualcosa di sé in qualcun altro: quando lo perdiamo perdiamo comprendiamo che p un pezzo di noi col quale non abbiamo parlato mai abbastanza e non avremo una seconda opportunità.
Emotivamente come ti sei approcciato a Pigro, visto anche il progetto con Ivan Graziani di tuo padre, gli Anomima Sound? C’è un motivo preciso per cui hai scelto Pigro?
Fu pubblicato nel 1978. All’epoca non suonavano più insieme mio padre e Ivan. Mi piace quell’eredità rock che Ivan ha sempre avuto ed era nelle sue chitarre e nel modo di scrivere. Mi ha sempre colpito e trasmesso energia anche se da bambino non ti concentri sul testo. Ha un intenso incastro melodico-ritmico. Poi sono stato felice di ritrovare Filippo Graziani che è bravissimo: da bambini abbiamo trascorso del tempo insieme, siamo sempre rimasti legati anche se ci siamo frequentati poco.
Pigro è Funk, poi arriva il tribalismo di Senza paura…come dice la canzone la vita è dura ma se la affronti senza paura può anche essere divertente: quanto ti sei divertito a giocare con i ritmi del mondo?
Senza Paura fu scritto per Ornella Vanoni da Vinicius De Moraes e Toquino e descrive una cosa fondamentale: la paura di intraprendere la propria strada, di seguire un amore ma anche la paura del buio e alla fine della morte. Ma il succo è che devi celebrare il momento carioca che è dentro di te, abbracciare la tua esistenza e andare avanti senza paura.
I primi venti secondi di Centro di Gravità Permanente sembrano un omaggio al Prog: è solo una mia sensazione? Poi ho notato una grandissima cura per gli incipit in generale: ne Il Mondo la tua voce arriva dopo oltre 30 secondi, un lusso di questi tempi. Cosa Sarà all’attacco sembra un allegretto jazz.
In passato mi sono domandato se fossi piano centrico poi ho capito che sono un pianista. Sia io che Vittorio Cosma nasciamo come musicisti: lui è riservato ma è un grande. Abbiamo privilegiato momenti musicali che raccontassero il brano prima delle parole. Abbiamo lasciato spazio al background per accompagnare le nuove generazioni in questi brani attraverso un mondo coinvolgente.
Visto che hai coinvolto Filippo Timi in Cosa sarà, lui ti coinvolgerà in un suo film?
Mi chiamò per collaborare alla direzione musicale del programma televisivo Skianto che intervallava act e musica. Averlo ora in una canzone è avveniristico. Potrebbe essere un crooner con la sua voce bassissima e ci mette in più il quid interpretativo di un attore.
E’ sempre più difficile tirare avanti questo show…il verso di Bimba se Sapessi sembra il ritratto degli ultimi due anni del tuo mondo: ora basta collezione di medicinali e tanta musica come panacea, sei ottimista?
Direi che noi siamo gli ultimi che ci dobbiamo lamentare, non lavoriamo in miniera. Il nostro lavoro è impegnativo, pensa solo ai tanti chilometri che fai ogni giorno quando sei in tour. Ma possiamo farcela. Le nostre maestranze non sono state tutelate abbastanza ma è stata anche l'occasione per fare valere i propri diritti . Abbiamo imparato a vivere giorno per giorno. Più che ottimisti siamo attivisti rispetto alle cose importanti di questo mondo.
Dopo avere ascoltato l’album, se dico che hai spiegato la differenza tra una cover e una reinterpretazione condividi il pensiero?
E’ quello che volevamo fare comprese le contaminazioni. Il termine cover è tanto presente nel linguaggio musicale ma qui si merita la definizione non per l'etimo ma per il valore ampio del lavoro. Inoltre rivisto musiche da film e arie d'opera nei miei spettacoli.
Giocando col titolo del tuo precedente album Ho un Piano: quale è il tuo piano per l’estate? Sei tu la bomba che scoppia e rimbomba dell’estate 2022?
Sicuramente scoppieremo di caldo. Scoppierò di gioia nel tornare a fare questo mestiere: lavori duro ma hai la soddisfazione attraverso le risposte della gente. E poi lavoro su materiale inedito in futuro non troppo distante.