Pacifico, Io e la mia famiglia di barbari è un racconto fragile e solido

Musica

Il cantautore torna, per la seconda volta, con una scrittura differente. E sceglie un racconto autobiografico

Il 21 aprile arriverà in libreria e negli store digitali Io e la mia famiglia di barbari (La nave di Teseo), il secondo romanzo di Pacifico (al secolo Luigi “Gino” De Crescenzo): un racconto autobiografico, un affresco della storia d’Italia e dei suoi emigrati oltre che una testimonianza di affetto e gratitudine verso la propria scalcagnata e impareggiabile famiglia.
 

A poche centinaia di chilometri li aspettava un lavoro, una casa,

un bambino infilato in una tutina di spugna da cullare tra le braccia.

Fuori una periferia buia, senza mare, senza porto, senza palazzi nobiliari fatiscenti.

E che comunque sembrava la salvezza.
 

"Io e la mia famiglia di barbari conferma che Pacifico è uno scrittore, un romanziere, capace di uscire dalla forma canzone per distendersi su una misura più ampia. Ma questo libro autobiografico, divertente e commovente, mostra anche quanta vita sta all’origine, magari involontaria, dei suoi bellissimi testi per la musica", commenta Elisabetta Sgarbi, fondatrice e Direttrice Generale ed Editoriale de La nave di Teseo.

Sin dalla copertina, scatto realizzato intorno agli anni ‘50 dal grande interprete della fotografia contemporanea Nino Migliori (classe 1926), ci si immerge immediatamente nell’atmosfera intima e delicata del romanzo, che cattura momenti di una quotidianità fragile e solida, allo stesso tempo. Pacifico in Io e la mia famiglia di barbari racconta l’epopea della sua famiglia allargata, i “Campanici”, e dei genitori, Pia e Guido, emigrati a Milano in cerca di lavoro. I riti delle vacanze e del controesodo annuale - con i loro ingorghi e interminabili viaggi in treno - i matrimoni e i funerali, i dissidi e le riconciliazioni, il passaggio generazionale, fino alla perdita del padre, all’abbandono della casa in cui hanno vissuto per quarant’anni, al proprio trasferimento a Parigi e alle telefonate alla madre che vive da sola. L’autore costruisce così a piccoli passi, con attenzione alla quotidianità e soffermandosi su particolari momenti, situazioni o gesti, qualcosa che pian piano assume quasi il respiro dell’epos, la saga dell’emigrazione, tra umorismo, commozione e amore per la sua stramba famiglia.

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