Il richiamo a una ingenuità perduta ma che colma spesso i nostri desideri. Il brano è introdotto da un testo esclusivo dell'artista
Ninna Nanna è una poesia che sfiora il cuore. Poche note, essenziali, che ricordano la classicità, i carillon con cui noi ci addormentavamo, un richiamo ad un’ingenuità perduta ma ancora condivisibile ed anelata. E’ uno di quei brani che sembra di non averlo mai inventato, nasce così, spontaneo senza ripensamenti. Al momento pensavo di aver codificato qualcosa che non volesse la pena scrivere, e di darne quindi seguito. Come spesso accade, mi rendo conto poi, che quel brano che mi sembrava così scontato e privo di valore, invece aveva qualcosa da dire. Dopo il peregrinare di brani così eterogenei, con linguaggi diversi tra loro, dona un senso di pace, anche se apparente; il suo finale è un punto di domanda e un senso di incompiutezza che lascia spazio ad altre domande che avranno poi sete di risposte e quindi la sua circolarità rimane anche nel momento in cui finisce.
Ninna nanna è la calma che non c'è, è il desiderio di calma, è il cullarsi per un istante, per una notte, pur consapevoli che il giorno dopo bisognerà ripartire come sempre, più forti di prima. Il pianoforte mi ha sempre accompagnato nella mia vita e tutt’ora è il compagno più intimo e vicino alle mie felici inquietudini. Tutto nasce da quando ero studente del Conservatorio di Milano; ero giovane, ero l’incubo delle bidelle, perché dopo le regolari e consuete lezioni, io ed alcuni miei compagni rimanevamo fino a tardi a suonare jazz insieme, e loro non riuscivano a chiudere il conservatorio ad un orario accettabile. Ricordo che una volta, una mia insegnate, sfogò la sua rabbia e indignazione alla mia insegnante di pianoforte: ‘’Quello lì ieri sera era in classe con una ragazza a facevano jazz: una vergona’’.
La mia insegnante al momento finse di dare seguito alle lamentele ma poi ricordo ancora le sue sagaci risate per l’accaduto, anzi colse l’occasione per manifestarmi la sua ammirazione per queste mie qualità. Nel frattempo i miei studi accademici di contrabbasso, pianoforte e composizione proseguivano brillantemente: parallelamente anche se sempre un po’ di nascosto coltivavo queste strade alternative, ritenendo l’improvvisazione e non solo quella strettamente jazzistica, un canale di grande importanza espressiva.
Il lato compositivo nasce da questa mia esigenza improvvisativa, molti brani me li sono trovati tra le mani e poi li ho decodificati. Nella scrittura si ha più tempo per pensare quindi si riesce a elaborare meglio il materiale ma l’idea resta molto istintiva tranne in qualche raro caso. Il mio è un viaggiare tra diversi stili, come poi si nota nel mio lavoro discografico “Walking on the air”, passando dal jazz alla classica non dimenticando anche la musica etnica. Un mix di tante esperienze musicali e contaminazioni che sono state metabolizzate. In ogni caso i miei studi musicali classici mi portarono a risultati importanti, mi diplomai brillantemente e presto come contrabbassista cominciai a vincere concorsi importanti in varie orchestre ed istituzioni, fino a giungere all’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano di cui tutt’ora faccio parte. Suonare in questo teatro non è solo un vanto e motivazione di orgoglio fine a sé stesso, ma rappresenta il privilegio di vivere esperienze musicali ai massimi livelli. Suonare e collaborare con i più grandi direttori, il grande repertorio, i grandi solisti e migliori cantanti al mondo è cosa estremamente arricchente, ma la voglia e l’esigenza mia di percorrere strade alternative, non mi ha mai abbandonato.