Tornano i De Sfroos con i loro personaggi da Manicomi

Musica

Fabrizio Basso

L'album contiene 15 brani rimasterizzati, presso gli studi della RSI Radiotelevisione svizzera, che ci faranno rivivere dopo 25 anni le storie dei celebri personaggi come Anna, Lo Sconcio, Zia Luisa, Nonu Aspis e tanti altri…Immagini e storie di figure, in parte realistiche e in parte cinematografiche, che offrono ancora oggi importanti spunti di riflessione su delicate tematiche, quali ad esempio il trascorrere del tempo, la guerra, il disagio psichico, la rivalsa dei diversi, la vendetta degli screditati

Ammetto che riascoltando, a distanza di parecchi anni, Manicomi ho provato un senso forte di inquietudine. Perché la realtà raccontata un quarto di secolo fa dai De Sfroos è cambiata veramente poco. Forse sono mutati i nomi e le situazioni, ma l'essenza è rimasta intatta. O quasi. Oggi i De Sfroos sono Davide Van De Sfroos (Davide Bernasconi), Alessandro Frode (Alessandro Giana), Didi Murahia (Arturo Bellotti) e Lorenzo Mc. Inagranda (Lorenzo Livraghi). Il disco è dedicato a Marcu De La Guasta (Marco Pollini), uno degli storici componenti della band venuto a mancare nel 2017. Ne abbiamo parlato al telefono.

Quando vi siete visti per iniziare a lavorare sul progetto che vi siete detti?
Prima abbiamo svolto un sondaggio, dopo il covid (tutto su coronavirus) tutti eravamo entusiasti, abbiamo aderito alla situazione. Ci siamo trovati per una cena ed è stato il racconto delle nostre vite, 25 di anni sono lunghi. Poi abbiamo iniziato a scherzare e suonare.
I personaggi cui avete dato vita già all’epoca raccontavano un mondo in estinzione…oggi come li avete ritrovati?
Al loro posto in un mondo non estinto ma sofisticato. Le cose non sono scadute perché avevano una cognizione. Tante cose sono rimaste uguali. Non siamo in imbarazzo nel ricantarle ma ci fanno pensare.
Nascono ancora le canzoni negli appartamenti?
Sono sempre nate lì. All’epoca uno era grafico, uno odontotecnico, due postini, uno scaricatore…nascono per strada e poi il foglio appare nell’appartamento.
Temi quali quello delle guerre, dei diversi, del disagio psichico sono ancora attuali. Penso ad Anna e zia Luisa. Vi sentite voi dei disagiati?
Ci siamo sempre sentiti disagiati, mettevamo insieme forze e debolezze per generare l’impasto di tante singolarità. Avevamo la libertà di andare sopra la visione comune, ci piacevano discorsi divergenti e genialità al confine con la follia.
Cosa vuol dire oggi essere gente di lago?
Essere crepuscolare e circoscritto al confine tra acqua e terra. La provincia è un fenomeno particolare e così anche le storie della provincia. La natura tristognola e crepuscolare si abbatete con l’allegria delle canzoni.
Una volta la frontiera era contrabbando oggi è segregazione, razzismo…come vivete il vostro essere di confine?
Il confine c’è quando si crea. Non parliamo solo del nostro confine italo-svizzero con l’entusiasmo di entrambe le parti. Quando la frequenti è un non luogo. La primaria è dentro di noi che decidiamo cosa lasciare passare. Ricordiamo Gagarin che giunto sulla lunda disse che il mondo da lassù sembrava un posto fantastico senza barriere e frontiere escluse quelle naturali. La frontiera è dove non passano le idee o sei sicuro di quello che circola intorno a te. Ora è quella contro il virus, speriamo non si rifletta sull’umanità…basta paure!
Che valore ha il dialetto?
E’ una lingua del parlato. E’ la lingua del luogo, è cantare canzoni del luogo. Abbiamo contrabbanddato tematiche universali ma anche cose che sono dei nostri luoghi.
Chi è oggi il Diavul?
E' sempre in giro e veste bene. E’ la confusione, è far finta di non esistere. Ma qualcuno ci ha fatto credere che esiste. E' vestito da donna perché è raffinato e galante non perché è donna. Non appare come uno che fa paura, si nasconde anche in chiesa e lo abbiamo scoperto leggendo sui giornali certe brutte storie. Stiamo in guardia: lo siamo tutti e non puzziamo di zolfo. Il diavul potrebbe anche essere l’adagiarsi sulla pigrizia del post lockdown e abdicare alla vita. Noi siamo insieme per il passaggio contrario, siamo un inno al ritorno a una vita normale anche se a volte si ha la sensazione che resti utopia. Portiamo l’auspicio. Siamo ancora qui con voglia di fare.
Le terre di confine, le valli sono sempre stati luoghi di eresie: vi sentite tali?
Ci sianmo sempre sentiti dei ribelli. Sono luoghi dove la gente ha reinventato la sua libertà. Non è la donna che raccoglie foglie di camomilla e poi viene bruciata da Torquemada o Bernardo Guy. Il male quello vero è bloccare le ideologie, le filosofie, è condannare a priori. Le nostre sono figure eretiche ma salvifiche. L’eresia è facile da estrarre come una spada ma le ferite sono altre.
Che sviluppo avrà il progetto?
Intanto abbiamo ritrovato l'amicizia, il legame e il bello di suonare insieme. Ci stiamo divertendo e guardarci in giro in questo viaggio senza perdere il panorama. Con punti di arrivo e scopi sarebbe una forzatura, per ora lo spazio che abbiamo ci soddisfa.  Andare non importa dove diceva Jack Keruac. Noi andiamo per la nostra strada ma non chiudiamo alcuna porta

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