Nel nuovo concept album Wonderland, la storica band capitanata da Fabrice Quagliotti passa dai temi fantascientifici degli anni d’oro all’attenzione per il presente e per il nostro pianeta, sempre più a rischio a causa dell’inquinamento e dello sfruttamento indiscriminato.
di Marco Agustoni
40 anni fa i Rockets, la band francese, ma italiana d’adozione che è arrivata al successo con brani come On the Road Again e Galactica, guardavano al futuro con costumi argentati e dischi a tema fantascientifico. Ora, con una formazione in gran parte rivisitata e capitanata dallo storico tastierista Fabrice Quagliotti, si concentra sul presente, punto di partenza imprescindibile per salvaguardarlo, questo nostro futuro sul pianeta Terra.
Questa nuova attitudine è condensata nel concept album Wonderland, anticipato dal singolo Kids from Mars, preludio fra l’altro a un tour che nei prossimi mesi porterà i Rockets in giro per l’Italia. Ne abbiamo parlato in un'intervista proprio con Fabrice, orgoglioso di presentare la sua ultima “creatura”.
Il futuro è sempre stato un vostro punto di riferimento. Ma mentre prima era un ideale a cui tendere, ora è qualcosa di cui preoccuparsi…
I primi dischi dei Rockets parlavano del futuro oltre il pianeta. Oggi parla del futuro del pianeta. Abbiamo deciso di chiamarlo Wonderland, ovvero il paese delle meraviglie, che non è però qualcosa di immaginario, ma è la Terra stessa. Solo che viene martoriata da decine e decine di anni. Per il nostro futuro confidiamo nei bambini, perché salvino e salvaguardino il pianeta.
A questo proposito, le voci di bambini compaiono in vari brani dell’album…
Sì, in tre brani, fra cui il singolo Kids from Mars, ci sono cori di voci bianche. Anni fa avevo in testa di fare un concept album con dei bambini, per cui già durante la fase compositiva ho pensato a dei brani che potessero includere le loro voci.
C’è anche dell’ottimismo, riguardo al futuro?
Nel momento in cui ti preoccupi per qualcosa, già c’è una ragione di ottimismo. Piuttosto, è grave quando non ti preoccupi.
Quanto è ancora importante la tecnologia, oltre che nell’immaginario, anche nella vostra musica?
La tecnologia è sempre stata il nostro forte. Quando abbiamo iniziato ero alla scoperta di synth e suoni nuovi. Oggi la tecnologia dà tantissimo, per cui anche se uso ancora synth analogici, aggiungo comunque suoni digitali. Non potrei continuare a fare musica solo con strumenti anni ’80, altrimenti rimarrei soltanto un Rock’n’Roll Loser come quello che raccontiamo nell’omonimo brano del disco.
Come si aggiorna il proprio suono mantenendolo riconoscibile, soprattutto visto che il progetto ha cambiato volto negli anni?
Più che il suono, quel che caratterizza un musicista o un gruppo è il modo di comporre le canzoni. Quello in qualche modo è rimasto lo stesso. Ci siamo evoluti nelle tematiche, oltre che nel mostro modo di presentarci, anche perché non ci vedrei più, oggi, a esibirci rasati e dipinti di argento.
C’è chi lo fa, di continuare a esibirsi sempre con lo stesso trucco di un tempo…
È vero, i Kiss. Tanto di cappello per quello che hanno fatto, ma io non lo concepisco, perché sono per l’evoluzione costante. Il brano che citavo prima, Rock’n’Roll Loser, è dedicato proprio a chi è rimasto imprigionato nel passato.
In Wonderland si sentono influenze sia del passato, che contemporanee…
In Wonderland ci sono 50 anni di influenze musicali, dai Genesis, Bowie e gli Stones che ascoltavo da ragazzino, alla musica di oggi. Gli Imagine Dragons, che apprezzo tantissimo, i Linkin Park e via dicendo…
C’è un brano del disco di cui sei particolarmente fiero?
Sicuramente il primo singolo Kids from Mars. Altri brani che trovo molto belli sono We Are One e The One.