Il piano pop di Matthew Lee è un viaggio nel tempo lungo decenni. Il pianista pesarese affascina e fa ballare più generazioni nelle sue oltre due ore di concerto. Lo abbiamo incontratto per entrare un po' nel suo universo e parlare del recente album PianoMan
(@BassoFabrizio)
Lungo il viale non va più la studentella di Natalino Otto, o forse ci va anche lei in versione 2.0 e in questo caso a darle il ritmo è Matthew Lee. Che col suo più recente lavoro conferma l’abilità di dare il ritmo a interi teatri: l’album si intitola PianoMan e segna li suo debutto con una delle etichette più prestigiose, la Decca Black. L’artista pesarese, ma apolide per scelta umana e musicale, ci porta in giro per il mondo e per le epoche “scegliendo brani che mi piacciono. Mi affido a uno staff collaudato ma l’ultima parola è la mia”. Questa filosofia, democraticamente autoritaria, permette a lui, ma soprattutto a noi, di scoprire brani di un passato più o meno recenti vestiti con il ritmo speciale di Matthew Lee (“Il mio vero nome è Matteo ma ormai anche mia mamma mi chiama Matthew”): in PianoMan, oltre ad alcuni inediti, troviamo, tra gli altri, Mack the Knife di Kurt Weill, Give me love di George Harrison, These boots are made for walking di Nancy Sinatra e Rossini’s Tarantella di Gioacchino Rossini.
Abbiamo incontrato Matthew Lee a pranzo, per entrare in sintonia con chi sul palco è elettrico serve tranquillità. Al disco ha lavorato circa un anno “e la parte più rapida è stata la registrazione. La mia chiave di svolta nella carriera è stato il Blue Note, che ormai è un appuntamento più o meno fisso dei miei tour. Per quando ricorda il debutto sull’etichetta Decca devo dire che la collaborazione è scaturita all’antica: ovvero sono venuti a vedermi in concerto. Così si faceva scouting una volta”. Un concerto di Lee è una esperienza unica, chi scrive ha avuto la fortuna di viverla più volte, significa per oltre due fare un viaggio affascinante nel mondo della musica, dove nelle esecuzioni di Lee e della sua band, si sentono, sottocutanee, alcune delle influenze che più hanno contribuito a formarlo: Richard Clayderman, Stephen Schlaks, Michael Nyman e, ovviamente, Ennio Morricone. Quando sale sul palco a Matthew lee piacciono “belle casse grosse e poi è fondamentale la batteria. Io faccio vintage con modernità pop. Quando sono sul palco voglio il boato dello stadio”. Ha un telefono pieno di appunti, che di solito maturano circa un anno prima che prendano una forma definitiva. Così va, lungo il viale,Matthew Lee, mister PianoMan!